Guerra in Medio Oriente

Perché i paesi arabi non vogliono i profughi palestinesi

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“Il paese dei cedri”, “ La Svizzera del Medio Oriente”. Tali erano i nomi con cui era conosciuto il Libano, paese che tra la fine delle Seconda guerra mondiale e i primi anni ’70 risplendeva come fulgido esempio di modernità nell’universo arabo oscurantista. Dopo la fine nel 1943 del mandato francese su questa terra, la mescolanza di credi religiosi divenne al contempo motivo di fragilità e modello positivo per le altre realtà medio-orientali. All’interno del Libano convivevano infatti cristiani (maroniti), musulmani sunniti e una piccola minoranza di sciiti.

La scintilla che fece detonare questo fragile equilibrio, facendo precipitare uno Stato ricco e moderno in un abisso di violenza e miseria, fu l’esodo in massa dei palestinesi scacciati dalla Giordania dopo gli eventi del 1970. Sfruttando la condizione dei profughi generati dalla prima guerra arabo-israeliana, i militari dell’OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina) guidati da quel galantuomo che era Arafat, iniziarono a costituire nella Giordania che li ospitava un gruppo di comando parallelo a quello ufficiale, agendo da padroni in una terra non loro e pianificando un colpo di stato per rovesciare la monarchia del re Husayn e assumere il controllo del paese.

Dopo una serie di tentativi di uccidere Sua maestà i giordani risposero alla guerriglia interna al loro paese con ferocia disperdendo i palestinesi in quello che sarebbe passato alla storia come il “Settembre Nero” della Giordania. A tali eventi seguirono espulsioni in massa dei palestinesi che si riversarono proprio in Libano. Qui, di nuovo, il copione si ripeté in maniera ancora più tragica vista la frammentazione interna del paese. Il gran numero di campi profughi venne progressivamente “infiltrato” e militarizzato dalla solita OLP del solito nobiluomo Arafat. I capi palestinesi avevano capito che dopo la sconfitta dei paesi arabi nella guerra dei Sei giorni non era possibile sconfiggere Israele in campo militare. Occorreva quindi trasformare la guerra convenzionale in “resistenza” (leggi terrorismo), parola che ancora oggi riempie la bocca degli ignoranti che popolano gli sconci cortei nelle città occidentali.

Guerriglia e terrorismo avrebbero sostituito d’ora in poi la guerra tradizionale. Il Libano divenne quindi il laboratorio dove sperimentare questo turpe cambiamento. Difatti la nazione, e in particolare la parte meridionale, si prestavano perfettamente ad essere una base di attacco contro Israele. I militari palestinesi, infiltrati nei campi profughi, ricominciarono dunque proprio da dove erano stati interrotti in Giordania. Nel 1975 tentano di uccidere il leader libanese cristiano Pierre Gemayel mentre assisteva alla consacrazione di una chiesa assieme ad altre persone che moriranno nell’attentato; è l’inizio della guerra civile che porterà a contrapporsi cristiani, sostenuti da Israele, e musulmani sunniti e sciiti, supportati dall’Iran e alleati dei palestinesi.

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La capitale Beirut, da splendida città multiculturale, diventa un cumulo di rovine controllate in parte dai musulmani e in parte dai maroniti. I capi islamici intendono stabilire nel Libano uno Stato regolato interamente dall’Islam e dalle sue regole. I palestinesi dal canto loro cercano di utilizzarlo come base d’attacco contro lo stato ebraico. La guerra tra palestinesi e Falangi cristiane porta le truppe dell’OLP verso il sud del paese, a confine con Israele. Qui si consuma l’ennesimo atto terroristico compiuto per mano palestinese: un autobus con a bordo dei civili viene dirottato e le persone al suo interno uccise brutalmente. Questo episodio passerà alla storia come il “Massacro della strada costiera”.

Israele decide quindi di invadere il sud del Libano per impedire ai miliziani palestinesi di creare una zona-cuscinetto. Nel 1982 a cadere vittima stavolta di un attentato palestinese è Bashir Gemayel, figlio di Pierre, che era destinato ad essere presidente del Libano prima di essere ammazzato. Tale atto ispira una nuova serie di atrocità che culminano col tristemente noto Massacro di Sabra e Shatila, dove un gran numero di profughi palestinesi verrà massacrato dai miliziani delle Falangi cristiane maronite (non dagli israeliani) in rappresaglia dell’attentato in cui fu ucciso Gemayel. Questo periodo di terrore e massacri vede la nascita di un altro gruppo terrorista che riempie le cronache dei giorni nostri: Hezbollah.

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Nato nel 1982 e di fede sciita si pone subito come un nuovo attore a servizio dell’Islam più radicale. Tra i suoi pilastri fondativi troneggia infatti la Jihad contro Israele considerato come qualcosa di demoniaco da distruggere. Si legge nel loro statuto programmatico: “Il nostro primo obiettivo è la distruzione di Israele e dell’entità sionista. Essi sono il nostro più odiato nemico. La nostra battaglia non finirà finché non li avremo cancellati. Non tratteremo mai, non ci sarà mai un cessate-il-fuoco né un accordo di pace”. Di nuovo, esattamente come nel caso dei palestinesi, i combattenti di Hezbollah si fanno notare per attacchi suicidi, rapimenti, bombe umane, attentati terroristici. E di nuovo, esattamente come Hamas, questo gruppo terrorista ha come motore primo la distruzione di Israele, la sua cancellazione.

Il paese dei cedri ad oggi non è più lo stesso. Beirut è la capitale in rovina di uno stato che non esiste. Al posto dell’autorità politica si è innestata l’autorità religiosa. Hezbollah controlla di fatto tutti i centri vitali del paese. La popolazione vive con un’ora di elettricità al giorno. Le scuole vengono chiuse per paura che i bambini possano essere colpiti dalle pallottole vaganti che vengono sparate per celebrare il discorso del leader Nasrallah. Il Libano era un modello di eterogeneità culturale e religiosa. Un paese moderno in cui convivevano, seppur con delle tensioni inevitabili, credi religiosi diametralmente opposti. Ora è uno stato fallito. Una striscia di terra una volta prospera precipitata nel più cupo medioevo islamico.

I palestinesi, o in questo caso Hamas, adottano sempre la stessa strategia: usano i profughi come strumento per infiltrare i loro gruppi armati nelle nazioni che li ospitano e poi cercano di prenderne il controllo. Forse è per questo che oggi i paesi arabi (con in testa l’Egitto dove c’è già un notevole problemino chiamato Fratelli Musulmani) si guardano bene dall’accoglierli. I giordani poi dopo Settembre Nero non ci pensano proprio a correre di nuovo un rischio simile. L’esempio di come sia diventato il Libano dopo l’esodo dei palestinesi è tristemente noto. I paesi arabi in questo caso si dimostrano assai più realisti di quanto lo siano quelli occidentali. Forse, almeno in questo, avremmo qualcosa da imparare da loro.

Francesco Teodori, 6 novembre 2023

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