Carcere (Silvia Cecchi)

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carcere silvia cecchi

Il carcere deve essere “altro” rispetto a quello esistente. Da questo pensiero forte prende le mosse la riflessione di Silvia Cecchi che nel volume intitolato appunto Carcere riflette su questa istituzione indicando una via per una sua potenziale riforma. Se il carcere appare impossibile da abolire è però da rifare da capo a piedi affinché diventi occasione di reale re-inserimento sociale e non mero strumento di repressione sociale e privazione della libertà che spesso genera più crimine di quanto in realtà ne curi.

Silvia Cecchi, da sostituto procuratore, sa bene di cosa parla. E la riflessione sul carcere, sebbene spesso distante dagli interessi del grande pubblico, deve essere una preoccupazione per chiunque abbia a cuore la libertà, perché nessuna istituzione come il carcere, per quanto “necessaria”, appare tremenda per chi pensa che la libertà faccia tutt’uno con la persona e l’individualità. Per Cecchi è anzitutto fondamentale ripensare il concetto di “rieducazione” così da attivare realmente condizioni di vita carceraria maturative e responsabilizzanti (lavoro, affettività, relazionalità, istruzione), nel rispetto della dignità e della salute del detenuto. La persona è più del fatto compiuto, del reato e della pena che gli viene comminata. La persona, come scriveva Calamandrei, è individuo elevato a valore e per poter essere tale deve poter sperare in un futuro possibile senza il quale non vi è spazio per una ricostruzione della personalità.

Nella bellissima prefazione, Adolfo Ceretti, celebre criminologo, si interroga su un punto chiave: che cosa fa davvero quella che chiamiamo Giustizia: “sottrarre gli uomini dal loro ambiente di vita, limitarne fisicamente e tangibilmente la libertà, rinchiuderli in tribunale dentro a una gabbia in attesa di essere giudicati per poi destinarli – in caso di condanna – dentro a celle anguste (ora ridenominate “camere di pernottamento”) collocate nel ventre di istituti penitenziari vetusti?”. È solo questo che fa la giustizia che sprofonda i detenuti in quelli che spesso sono veri e propri gironi infernali? Se in parte tutto ciò è “inevitabile” date le attuali condizioni, ciò non significa che non bisogna immaginare un carcere diverso. Avere commesso un delitto e ricevere come punizione una lunga privazione della libertà, oltre allo stigma sociale una volta usciti, non deve in alcun modo implicare forme di “tortura” accessoria date dalle tremende condizioni di vita in carcere.

E una riforma radicale di questa istituzione è davvero pensabile perché, come sottolinea Cecchi, essa non è un’istituzione “eterna” ma storica e sempre soggetta a evoluzione. L’orrore che chi ama la libertà non può non provare di fronte alle mura in cui sono rinchiusi uomini e donne, deve interrogarci sulla necessità di una sua riforma: “Il carcere nella forma in cui noi lo conosciamo, a dispetto della nostra irriflessa credenza che sia sempre esistito, non conta più di due secoli e mezzo di vita: ciò giustifica la previsione che, insieme a un inizio, esso possa conoscere un declino, come accade per ogni istituzione storica.”

Liberilibri, 2 maggio 2024

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