Passi l’autocritica, che è una pratica dei forti, passi il dubbio di aver sbagliato molto in passato. Ma, per favore: piantiamola di accusare la Nato per lo scoppio della guerra in Ucraina.
Anche i nazisti si lamentavano
In primo luogo, ad invasione avvenuta, è moralmente ripugnante continuare a puntare il dito sull’aggredito e su chi lo avrebbe spinto nelle fauci dell’aggressore. L’immoralità di questo argomento si può toccare con mano se facciamo qualche paragone storico. Persino la Germania nazista, nel 1939, aveva “le sue ragioni” per invadere la Polonia. Berlino lamentava, infatti, di aver subito delle condizioni di pace ingiustamente dure nel trattato di Versailles dopo aver perso la Grande Guerra. Queste “ragioni” si devono ascoltare, finché non c’è la guerra, per cercare di ricomporre pacificamente una questione internazionale. Ma nel momento in cui una delle parti ricorre alla forza per costringere gli altri al suo volere, ogni ragione viene a mancare. Conta, per l’aggressore, solo la legge del più forte. Nessuno parlava più della legittimità della pace di Versailles, mentre i panzer tedeschi avanzavano su Varsavia. Oggi è assurdo continuare a parlare dell’ordine nato dopo la Guerra Fredda, mentre i carri russi avanzano su Kiev.
Perché Kiev vuole la Nato
La smania di autocritica ci ha resi ciechi nei confronti dei torti dell’aggressore, ma anche delle ragioni dell’aggredito. L’Ucraina aveva tutto il suo legittimo interesse ad entrare nella Nato ed aveva perfettamente ragione di aver paura della Russia. Nel febbraio del 2014 la Crimea è stata occupata da truppe russe e, un anno dopo, era stata annessa alla Federazione Russa. Nessuna nazione europea, dal 1945, ha mai subito una simile mutilazione territoriale, ad opera di un vicino, senza reagire militarmente. Per di più, nell’aprile del 2014 è scoppiata una guerriglia separatista nel Donbass che (benché i russofili e i russi lo neghino) era platealmente alimentata da armi e consiglieri militari russi.
L’Ucraina si sentiva giustamente minacciata nella sua stessa esistenza da un presidente russo, Vladimir Putin, che l’ha sempre considerata un errore della storia, una parte dello stesso “spazio spirituale”. E dunque i presidenti che si sono succeduti a Kiev, almeno dal 2014, avevano tutto l’interesse e tutte le ragioni per chiedere di aderire alla Nato, per esserne protetti. I fatti di oggi dimostrano che le paure degli ucraini fossero più che fondate, non che abbiano “aizzato” i russi chiedendo aiuto all’Occidente.
La Russia non è l’Urss
E veniamo, infine, al “peccato originale”, come viene sempre considerato l’allargamento della Nato ad Est, ai Paesi del Patto di Varsavia e alle tre Repubbliche Baltiche che erano parte della stessa Urss. Si cita spesso un presunto accordo siglato fra gli Usa dell’amministrazione Bush (padre) e l’Urss di Gorbachev, in cui la Nato si prendeva l’impegno solenne di non allargarsi mai ad Est dell’Oder, confine orientale della Germania riunificata. C’è molta confusione anche sulla data e sull’identità stessa di questi accordi. Si citano soprattutto di colloqui “4+2” sulla riunificazione della Germania, avvenuti nel settembre 1990. Ebbene: nel settembre del 1990 non c’era la Russia, c’era l’Urss. Sempre nel settembre del 1990, a Est dell’Oder c’era ancora il Patto di Varsavia. Di cosa stiamo parlando allora?
Il Patto di Varsavia, la mutua difesa dei “fratelli” socialisti, le basi sovietiche nell’Est europeo, la stessa Unione Sovietica, dopo il 1991 hanno cessato di esistere. Pretendere di mantenere la validità di accordi siglati da Stati e alleanze che non esistono più, obiettivamente, è un gioco ideologico che può essere sostenuto solo da revanscisti sovietici, in Russia, non si può accettare anche da noi. La Russia non è l’Urss, ne è solo in parte l’erede diretta e, dal 1994, ha siglato altri accordi bilaterali con la Nato. Il 27 maggio 1997, con il Nato-Russia Founding Act, le due parti hanno anche preso l’impegno di non creare nuove sfere di influenza e di non arrogarsi un diritto di veto sulla controparte.