Parliamoci chiaro, la modifica del fondo Salva-Stati è un grande pasticcio. Nasce da un principio mutualistico. I paesi europei si mettono insieme per aiutare uno di loro che si dovesse trovare in difficoltà. Una sorta di assicurazione. I Paesi finanziariamente più virtuosi, capeggiati dal solito aprifila olandese, pretendono che questo aiutino non sia gratis. È come se il papà (il padre, appunto) non volesse pagare l’assicurazione per l’auto che spesso utilizza il figlio scapestrato. C’è da capirlo. Con un piccolo dettaglio (che si applica anche al nostro fondo) e cioè che se il ragazzino dovesse fare un incidente, le conseguenze si riverserebbero anche sul papà. Una trappola per i paesi nordici, che sono alla disperata ricerca di un rimedio. Diciamo così, automatico. Avevano trovato il seguente, che l’ex ministro Tria, è riuscito a sventare: chi avesse ottenuto il prestito dal fondo Salva Stati avrebbe in automatico visto il proprio debito pubblico falcidiato.
E siccome gran parte dei nostri Btp sono in mano alle banche (400 miliardi), ciò avrebbe di fatto comportato la morte del sistema finanziario italiano. Immaginate infatti cosa potrebbe succedere se i 400 miliardi con un colpo di penna si fossero ridotti a 250/300. Altro che commissariamento dell’Italia, avremmo piuttosto avuto l’amministrazione di un funerale. Folle anche averlo pensato. E bene averlo evitato. Anche se, come avviene in tutte le trattative, chi parte da 1000, beh può anche perdere, ma 100 rischia di portarseli a casa. La sintesi è che il nuovo fondo Salva Stati, come verrà modificato se l’Italia dovesse votarlo, sarà comunque più costoso per il nostro paese. Sempre che noi si abbia necessità di utilizzarlo.
Sbaglia dunque chi grida al complotto, ma in egual misura commettono un errore coloro che vogliono acriticamente accettare la versione, sia pur migliorata, adottata dal duo Tria-Conte. Abbiamo un precedente che dovrebbe infatti farci riflettere. È il cosiddetto bail in, l’accordo per il quale se una banca salta, a pagarne le conseguenze sono anche coloro che hanno rapporti con essa. La recente storia finanziaria ci ricorda infatti di come le norme siano state applicate con severità nei confronti dell’Italia, e con rilassatezza invece verso, ad esempio, gli istituti di credito tedeschi. Ci spieghiamo meglio. Quando Tercas nel 2015 e le Etrurie a seguire si trovarono in enormi difficoltà, le autorità italiane avrebbero potuto salvarle con la nostra assicurazione domestica, che si chiama fondo interbancario. Non ci fu permesso dagli occhiuti vigilanti europei. Dovemmo arrangiarci, in buona sostanza facendo pagare ai risparmiatori e ai contribuenti italiani un prezzo più alto di quanto avrebbero sopportato (e cioè zero) se a regolare la cosa fosse stato utilizzato il fondo, senza stressare il mercato e con tempi giusti.