Anche la finanza soffre di lockdown. Anzi si può definire il lockdown dei dividendi. In buona sostanza, le galline d’oro delle cedole, banche e assicurazioni non stanno versando più gli utili ai propri azionisti. Gli enti di controllo europei e quelli italiani sembrano in preda al panico, un po’ come i politici di mezza Europa. E come spesso avviene nei regolatori, assistiamo a un eccesso di reazione. Vediamo esattamente di che si tratta.
La Banca centrale europea ha obbligato le più importanti istituzioni finanziarie euro a non pagare la propria cedola. Per dare un’idea, la nostra Intesa Sanpaolo, leader europea per solidità e ratio patrimoniali, ha distribuito l’anno scorso 3,36 miliardi di euro ai propri azionisti, di cui l’81,3% sono diffusi sul mercato e da soli si sono dunque intascati 2,75 miliardi. In tutti i suoi piani industriali, il consigliere delegato Carlo Messina aveva assicurato di mantenere la sua straordinaria policy di distribuzione degli utili. E così sarebbe stato, se non fosse obbligato a stare fermo dagli ordini della Bce. Il rendimento della banca è stellare, superiore al sei per cento. Insomma chi ha comprato quel titolo, si attendeva una cedola, che la Bce, con la scusa del Covid, ha deciso di congelare.
I funzionari di Francoforte non sono ovviamente matti, ma sono burocrati. Ritengono che le banche possano soffrire la crisi economica: le imprese falliscono e i crediti passano in sofferenza. Almeno dalla crisi finanziaria del 2007 a Francoforte si scervellano per evitare una crisi sistemica. Non rendendosi purtroppo conto che il cigno nero, assume sembianze sempre nuove. Quello del Covid certo non era previsto a Basilea. E i tentativi di proteggere le banche, diventano dei micidiali strumenti per non erogare credito. Così come oggi il blocco dei dividendi, contribuirà ad alimentare la crisi dei consumi, più che a proteggere il sistema. Si tratta di almeno venti miliardi di euro che a livello continentale non finiscono nelle tasche dei risparmiatori-investitori, ma rimangono inutilizzati e inutilizzabili nei libri contabili delle banche.
Francesco Profumo, uomo accorto che guida l’associazione delle Fondazioni bancarie, rappresenta quegli azionisti stabili sebbene di minoranza del nostro sistema bancario e nota: «Si sottraggono fondi che erano destinati al territorio, una mancanza che non sarà indolore». Anche se le Fondazioni dal 2015 si sono dotate di un fondo per la stabilizzazione delle erogazioni, oggi capiente per due miliardi, e che sopperirà alla mancanza di dividendi, aggiunge.
Ma se per le banche la situazione è grave, per le compagnie di assicurazione italiane si tratta di una commedia. Le assicurazioni hanno decisamente un fattore di rischio crediti alle imprese molto inferiore: banalmente non prestano quattrini. Non si capisce bene perché il regolatore europeo (Eiopa) raccomandi di non distribuire dividendi. E quello domestico, più realista del re, impone questo lockdown «almeno fino al primo gennaio 2021».
La farsa è che le nostre compagnie assicurative (in primis, la più importante e cioè le Generali) sono ferme, mentre le loro concorrenti corrono. La tedesca Allianz ha distribuito quasi dieci euro per azione e praticamente altrettanto Munich Re. Zurich se ne può bellamente infischiare, come l’inglese Aviva. Sorte simile solo per la francese Axa, che a luglio ha però distribuito un dividendo ridotto alla metà di quello annunciato.
La questione per le nostre Generali, ma anche per Unipol (che ha solo goduto degli utili infragruppo della controllata Unipolsai), è che le nostre assicurazioni rischiano di essere penalizzate rispetto alle concorrenti, che continuano ad erogare, non solo in termini di quotazione, ma anche di raccolta di capitali privati sui mercati. Senza contare la questione, in questo parallela a quella del settore creditizio, che riguarda l’economia reale. Una società come Generali ha quasi duecentomila azionisti: è una città di medie dimensioni. Che avrebbe potuto godere di un’iniezione di capitali (i dividendi per ora congelati) pari a circa un miliardo di euro.
In questo momento in molti hanno perso la testa. L’idea che ricche e solide società assicurative e bancarie non possano dare ai propri azionisti quattrini che spettano loro e che rappresenterebbero oggi un solido e privato aiuto ai loro bilanci familiari è una roba da pazzi.
Nicola Porro, Il Giornale 1° novembre 2020