Di cosa parliamo quando parliamo di libertà della scuola? Iniziamo col dire di cosa non parliamo: né del finanziamento degli istituti paritari, né delle diseguaglianze. Entrambi questi temi e realtà già ricadono a pieno titolo nel sistema della scuola di Stato di tipo monopolista che vige in Italia. Dunque, di cosa parliamo? Di cosa è la scuola e di cosa non è la scuola in Italia. Spero che se ne discuterà nel convegno del 13 febbraio Libera Scuola in libero Stato a Palazzo Giustiniani.
La libertà della scuola è la libertà della cultura che fonda sé stessa. La cultura è un auto-valore che lo Stato, nel suo stesso interesse, deve solo ri-conoscere. Infatti, non è la cultura che ha bisogno dello Stato ma è lo Stato che ha bisogno della cultura. Lo Stato non può decidere ciò che è vero e ciò che è falso, ciò che è bello e ciò che è brutto, ciò che è bene e ciò che è male. Lo Stato, il governo, il Parlamento, i partiti, i sindacati non sono e non possono essere il fondamento della matematica, della scienza, della storiografia e, insomma, della cultura, ma in Italia si pensa e ci si comporta come se lo fossero: lo Stato, i partiti, i sindacati sono di fatto e di diritto i proprietari della scuola che usano per i loro scopi amministrativi, elettorali, corporativi. È il vero dramma della democrazia italiana. Un manicomio con milioni di pazzi che credono di essere savi.
Questo dramma di una follia collettiva possiamo vederlo anche in un altro modo. Esistono solo due tipi di scuola: la scuola di Stato e la scuola libera. La differenza è questa: mentre il sistema della scuola di Stato esclude la scuola libera, il sistema della scuola libera include la scuola di Stato. Sbagliano, dunque, coloro che vedono nella libertà della scuola una minaccia per la scuola di Stato. La scuola libera, al contrario, favorisce la scuola di Stato, a patto che quest’ultima non sia monopolista. Purtroppo, in Italia esiste il monopolio statale dell’istruzione.
Molti, per non dir tutti, di coloro che parlano di scuola ignorano la differenza tra modello statale e libertà. Si crede che la scuola sia per natura “di Stato” e non ci si avvede che “scuola di Stato” significa “religione di Stato”. Eppure, la differenza è tale non solo sul piano teorico ma anche sul piano storico. Infatti, in Italia la scuola di Stato non è sempre stata monopolista. Ad esempio, nel periodo dello Stato liberale la scuola di Stato, che pur dovette fronteggiare il monopolio culturale della Chiesa, non era monopolista. Lo divenne nel 1923 allorché il governo Mussolini, non con la riforma scolastica ma con quella della pubblica amministrazione, introdusse il valore legale dei titoli di studio. In questo modo lo Stato, che altro non è che un atto di forza a cui si dà valore legale, statizzava la scuola e spostava il valore della libera conquista della cultura al possesso del diploma che, in quanto tale, certifica sia la conoscenza, quando c’è, sia l’abbondante ignoranza promuovendola a valore. In altre parole, lo Stato diventava padrone della scuola e la usava ai suoi fini amministrativi, con gli insegnanti che diventavano impiegati, quali sono oggi, e che avevano il compito di allevare nuovi impiegati e quadri amministrativi.
Tanti di coloro che si appellano alla Costituzione con l’intenzione di difendere la scuola pubblica, che realmente è statal-monopolista, non sanno che si stanno appellando al governo Mussolini che istituì il valore legale del diploma, che è l’unica cosa che è rimasta in piedi dopo la fine della scuola di Gentile e l’avvio della scuola di massa che proprio il valore legale indirizza e governa.
Quindi, per tener fede al titolo del convegno – Libera Scuola in libero Stato – non c’è altro da fare che sostenere l’abolizione del valore legale del diploma che, del resto, la realtà ha già svalutato. Purtroppo, in Italia nessuno chiede l’abolizione del valore legale del diploma. Non la chiedono i cattolici perché le loro scuole, da Berlinguer in poi, sono paritarie e fanno parte del sistema statale al quale chiedono giustamente finanziamenti. Non la chiedono gli ex comunisti perché essendosi impossessati della scuola non ne hanno, secondo loro, interesse. Non la chiedono neanche i liberali che tendono, sbagliando, a considerare il rapporto scuola-Stato solo sotto l’aspetto fiscale (mentre da Einaudi a Valitutti c’era la consapevolezza della necessità di togliere dalla scuola il veleno dei titoli di studio legali: si veda La libertà della scuola in cui ho raccolto gli scritti dei due grandi liberali).