Riceviamo e pubblichiamo questa bella riflessione di Rino Cammilleri, giornalista e scrittore, che ci racconta come l’università di Oxford interpreta l’alto tasso di contagio e di vittime provocato dal Covid-19 in Italia.
La newsletter «Pro Vita e Famiglia» riporta uno studio della prestigiosissima università di Oxford pietosamente ripiegato sui nostri guai. Potenza del prestigio: quand’ero un giovane assistente universitario andai a Cambridge (altro nome di prestigio) e, appena seppero che venivo da Pisa, spalancarono gli occhi e mi stesero tappeti rossi, offrendomi pure a cup of tea (che denti stretti accettai perché il loro caffè faceva schifo): credevano che l’università di Pisa fosse ancora quella di Galileo. Oxford, e basta la parola. Ma grazie a Dio sono cresciuto e ho imparato che, più spesso di quanto si pensi, sotto le parrucche non c’è molto e anche i sapienti possono prendere cantonate, specialmente quando partono da un assioma indimostrato, che in questo caso è un pregiudizio da bancarella.
Dico bancarella perché proprio in quel viaggio, potei vedere, a Londra, ambulanti che vendevano come souvenir maioliche con su scritto: «Se non riesci a leggere questo forse sei irlandese». Così come per l’Alberto Sordi di Fumo di Londra gli inglesi hanno tutti la bombetta e l’ombrello (quest’ultimo, effettivo, per via degli showers, acquazzoni improvvisi e in tutte le stagioni), per loro noi siamo pizza-mandolino-famiglia (e mafia). Le statistiche mostrano che, invece, abbiamo il più alto tasso di denatalità mondiale? Fa niente, basta infilare il dato nello schema precostituito. Lo studio oxfordiano si intitola «La scienza demografica aiuta a capire i differenti tassi di Covid 19» (Demographic science aids in understanding the spread and fatality rates of COVID-19) ed è firmato anche, ahimè, da due italiane. Succo: l’Italia è il Paese più colpito per via dell’inveterata attitudine al familismo.
In Italia i giovani rimangono più a lungo a casa, luogo in cui incontrano continuamente nonni, zii e cugini. E anche quelli che non sono disoccupati preferiscono pendolare pur di non staccarsi dalla famiglia. Questa inveterata attitudine impedisce di «conformarsi alle politiche che prescrivono distanza sociale». Perché la maggior parte dei contagiati sta in Lombardia? Appunto: i giovani lavorano a Milano, poi tornano a casa e la casa è piena di genitori, nonni, zii e cugini, e loro infettano tutti. Et voilà. Al che uno potrebbe dire: ma c’era bisogno di una laurea in demografia a Oxford per tirare queste conclusioni (non uso aggettivi a scanso di querele)? Ancora i virologi di tutto il mondo si chiedono perché il virus abbia colpito così duramente l’Italia: sbadati, potevano chiedere agli oxonensi.
Insomma, avessimo, noi italiani, dato retta ai teorici del nuovo ordine mondiale (che so, i fabiani, gli Huxley, non a caso inglesi) ci saremmo già incamminati verso il radioso modello di umanità che viene sognato così: tanti «uno», debitamente separati e distanziati, dediti al consumo seriale e rigorosamente lontani da religioni e legami affettivi, disciplinatamente guidati per il loro vero bene (di cui sono ignari) da una cupola di saggi. I quali sono tutti laureati, guarda un po’, a Oxford, Yale, Harvard e sono sempre pensosi delle nostre magnifiche sorti e progressive. Una timida domanda ai demografi di Oxford: se gli italiani sono ancora impaniati in quell’istituzione neanderthaliana che si chiama famiglia, com’è che i loro tassi di procreazione sono inferiori a quelli inglesi?
Altra domanda. Londra è circondata da cittadine-satellite, da cui ogni mattina partono milioni di pendolari che lavorano nella capitale. Come mai non dormono a Londra? Per spiegarlo non servono demografi, bastano i turisti: a) a Londra i prezzi delle case sono folli, b) nessun inglese di ceto medio-alto abiterebbe in un appartamento; anche le case popolari degli operai sono simil-cottage, ben distanziate dai vicini. Londra è una città-monstre: nove milioni di abitanti. Vediamo che farà il Covid sugli individualisti britannici. Anzi, stiamo vedendo.
Rino Cammilleri, 20 maggio 2020