Breve spiegazione per chiudere una inutile polemica. La polemica fra tasse progressive e flat tax (così come presentata) è strumentale e politicizzata, ma non è reale. Per due motivi che è facilissimo spiegare in poche righe per mettere una pietra tombale sull’argomento.
Primo motivo, l’articolo 53 della nostra Costituzione impone la progressività. Quindi qualunque ipotesi venga proposta, vale la pena di prenderla in considerazione solo se rispetta il dettato costituzionale.
Secondo motivo, a seconda dei dettagli, le due ipotesi sono equivalenti. Le aliquote Irpef vigenti sono progressive e hanno aree di esenzione dei redditi più bassi (no tax area). Questa struttura è stata determinata nel tempo dal fatto che l’aumento dei redditi nominali porta a una imposizione crescente. Il problema è che se io guadagno di più nominalmente ma il caro vita mi ha “mangiato” una parte del benessere che posso ottenere con questo reddito, il passaggio a una aliquota più alta è ingiusta. Quindi c’è la richiesta di rivedere le aliquote e, in una società con un grande classe media che rischia di impoverirsi, la soluzione prospettata è quella di spostare l’onere su qualcun altro. Per esempio, I più ricchi (se lo spirito è di lotta di classe), oppure i proprietari di case (apparente giustizialismo autolesionista dato che la maggioranza degli italiani comunque ha una casa).
La flat tax (che passa il test di proporzionalità) deve essere necessariamente accompagnata da deduzioni per rendere appunto progressivo il risultato finale. Quindi, l’aliquota massima la paga solo chi non ha diritto a nessun altro beneficio. Per fare esempi banali, ogni figlio a carico in più hai diritto a una deduzione in più. Ogni medicina che paghi in più, hai diritto a una deduzione in più.
In conclusione, sarebbe matematicamente possibile replicare l’attuale struttura di aliquote vigenti con un appropriato disegno flat tax e, parimenti, sarebbe possibile replicare un disegno flat tax con un equivalente sistema progressivo. Dove è il problema, allora? È ideologico. Le proposte del centrosinistra fanno baluardo sulla difesa della progressività. Le proposte del centrodestra fanno perno sull’idea di ridurre il carico fiscale.
La differenza è nel valore simbolico della “punizione” da comminare ai ricchi. Ma quanti “ricchi” pagano veramente l’aliquota massima del 43% con il sistema attuale delle deduzioni e detrazioni? E nel valore simbolico del beneficio da dare ai “poveri”. Quanto è giusto pagare zero? Ma quanto sono veramente “poveri” quelli che ricadono nella no tax area? Come si risolve allora il problema? Con il principio democratico di “no taxation, without representation”. Cioè: niente tasse se non c’è rappresentanza politica. Che possiamo ribaltare: si alla riforma fiscale se c’è rappresentanza politica.
Giordano Riello, 10 febbraio 2021