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Perché la riforma del Mes deve farci paura

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La preoccupazione di tutto l’establishment europeo sembra essere una sola. Dare un senso al Mes. Il meccanismo europeo di stabilità è un’organizzazione nata nel 2012 sulla base di un tratto intergovernativo sottoscritto da tutti i 19 paesi dell’Eurozona. Il capitale sottoscritto ammonta a 704 miliardi. Quello effettivamente versato è di circa 80. Il capitale sottoscritto dall’Italia è pari a 125 miliardi e per ora ne abbiamo versati giusto 14. Vabbè – direte voi – mica ce li chiederanno tutti subito. Si in effetti di tempo ne abbiamo abbastanza. Giusto una settimana dal momento in cui il Direttore Generale del Fondo decidesse di inviare la lettera di richiesta a tutti gli azionisti. Recita infatti l’ultimo paragrafo del comma 3 dell’articolo 9 dello statuto del Fondo che “i membri del MES si impegnano incondizionatamente e irrevocabilmente a versare il capitale richiesto dal direttore ai sensi del presente paragrafo entro sette giorni dal ricevimento della richiesta”. Siamo proprietari del 17,7% del capitale.

I negoziati per la riforma del trattato sono in essere dal 2018 e si sono interrotti con lo scoppio della pandemia. E sempre in ossequio all’unica preoccupazione dell’establishment, si è cercato in tutti i modi di far si che l’Italia ricorresse alla linea di credito a sostegno della crisi pandemica per far fronte a tutte le spese dirette ed indirette connesse al Covid. La missione è per ora fallita. Pure il Jacques Delors Institute ha dovuto certificare la sostanziale morte cerebrale dello strumento. In un momento in cui la Banca Centrale Europea sta emettendo nuova moneta per acquistare i titoli di stato attraverso le banche centrali nazionali non si vede quale convenienza economica abbia l’Italia a ricorrere al Mes. Missione quindi fallita. L’Italia per il momento non si fa fregare e allora come in un gioco dell’oca si torna al punto di partenza. La riforma del Mes va portata a casa. E senza nessun mandato parlamentare il Governo si accinge ad approvare al prossimo Consiglio la contestata riforma che sostanzialmente prevede due cose:

1. Il Mes potrebbe fornire al Fondo di risoluzione unico delle banche europee (lo strumento incaricato di tosare i risparmiatori facendo il bail in in caso di crisi) un sostegno finanziario qualora vi fosse una crisi bancaria e sistemica tale da esaurire la dotazione dello strumento. Pari a 60 miliardi. Tempi di erogazione? Dodici ore. Importo? 60 miliardi. Praticamente una polizza assicurativa che copre i rischi in caso di fine del mondo. Utilità zero

2. Cui si aggiunge la riforma delle cosiddette (Cacs). L’acronimo sta per clausole di azione collettiva e si ritrovano scritte nei regolamenti di emissione dei titoli di stato emessi dai Paesi dell’eurozona con scadenza superiore ad uno anno. Sono state introdotte a partire dal 1° gennaio 2013. Erano giorni in cui il fondo salva stati veniva chiamato, per indorare la pillola, scudo anti-spread. E disciplinano una cosa più unica che rara: la ristrutturazione del debito di uno Stato emesso nella sua valuta. Ovviamente in un nessun regolamento di emissione di un titolo di stato emesso dal Giappone (in yen) o dagli Stati Uniti (in dollari) o dalla Gran Bretagna (in sterline) troverete scritte simili scemenze.

Insomma, è come se stessimo andando in autostrada contro mano mentre tutti suonano e sfareggiano ma noi belli tronfi e tonti crediamo nella nostra sesquipedale presunzione di viaggiare nella direzione giusta. Cosa vuol dire ristrutturare il debito? Talvolta ridurre in parte il capitale da rimborsare. Quasi sempre ridurre gli interessi e/o posticipare i pagamenti dovuti rispetto alle scadenze pattuite. E uno Stato sovrano non ha bisogno di CAC perché semplicemente è lui ad emettere la valuta in cui quel debito è denominato e lo fa attraverso la sua banca centrale che, indipendentemente dal maggior o minor grado di autonomia gestionale rispetto al governo, rimane comunque un’istituzione di quello Stato dedita appunto all’emissione della moneta di cui ha il monopolio legale.

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