Pochi sanno che Giorgio Parisi, nel 2021, ha vinto il premio Nobel per la fisica anche per la sua carriera, e quindi due lavori del 1982 e 1983 (che hanno introdotto il processo di risonanza stocastica) dove spiegava come piccole variazioni nel flusso solare potessero giustificare variazioni termiche di ben 10°C nel paleoclima (Benzi R., Parisi G. et al; 1982, 1983). Che vuol dire questo studio? Lo abbiamo chiesto ad Adriano Mazzarella, già Professore di Meteorologia e Climatologia e Direttore dell’Osservatorio Meteorologico dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.
Professore, ci spiega in modo semplice cosa significhino questi due studi?
Parisi nei due predetti lavori dimostra che appena una variazione dello 0.1% della radiazione solare riesce a giustificare una variazione di temperatura dell’aria di ben 10°C semplicemente attraverso la risonanza stocastica.
Risonanza stocastica?
Parisi evidenzia il processo della risonanza stocastica. Tale processo (mai prima da alcuno evidenziato) consiste nell’aggiunta di una giusta quantità di rumore per favorire l’identificazione di un segnale di bassa energia che normalmente non viene misurato. L’ha provato nel 1982 su Tellus e nel 1983 su Journal on Applied Mathematics.
Aspetti, me lo spieghi in modo ancora più facile, vorrei capire bene…
La risonanza stocastica è stata utilizzata per spiegare un apparente paradosso climatologico. Negli ultimi milioni di anni, la temperatura media sulla Terra è stata fortemente correlata al flusso di energia proveniente dal Sole, soprattutto a causa dell’eccentricità della nostra orbita planetaria.
Quindi?
La variazione del flusso di energia è approssimativamente periodica, con un periodo caratteristico di circa 100.000 anni, ma è troppo piccola per spiegare variazioni di temperatura dell’ordine di 10 °C, come quelle che possono essere ricostruite dal record paleoclimatico. Ma anche dinamiche interne dell’atmosfera (con periodi di qualche mese e qualche migliaio di anni) possono essere modellizzate come rumore (ndr. Variabili complesse di sottofondo). Queste variabili, combinate con cambiamenti periodici nel flusso di energia dal Sole, inducono grandi variazioni della temperatura globale (che sono approssimativamente periodiche).
Bene, capisco che la fisica dell’atmosfera e le variabili esterne ad essa sono di impatto rilevante. Allora le chiedo un’altra cosa, il Nobel Giorgio Parisi, adesso, dice che “gli eventi estremi dipendono dalla C02”. Quindi tutto il sistema (complesso) dipenderebbe da una sola variabile (C02). Detto ciò, c’è un cambio di idea di fondo, e si esclude l’influsso del sole. E’ una contraddizione o abbiamo capito male?
E’ sconcertante il comportamento contraddittorio di Parisi. Una parte della comunità scientifica ritiene che l’attuale aumento di temperatura dell’aria e l’aumento degli eventi estremi sulla Terra sia attribuibile esclusivamente alla CO2 prodotta dall’uomo e non alla radiazione solare il cui flusso varia pochissimo (0.1%) e perciò sostanzialmente ritenuto costante nel tempo (la cosiddetta costante solare pari 1366 Watt/m2). Parisi riceve il premio Nobel 2021 per la Fisica insieme a due climatologi, Syukuro Manabe e Klaus Hasselmann, entrambi costruttori di modelli di circolazione atmosferica (GCM models) basati su sistemi di equazioni differenziali riguardanti le leggi di conservazione dell’energia, momento e massa e dei gas perfetti. Ma l’immissione in un sistema di equazioni differenziali di un flusso radiativo solare quasi costante nel tempo è equivalente a trascurarne completamente l’influenza dal momento che la derivata di una costante è uguale a zero. Parisi rimane silente al riguardo, rinnega in maniera plateale la sua risonanza stocastica (forse per non imbarazzare i due colleghi climatologi vincitori del Nobel).
Se la scienza del clima viene descritta – almeno in alcuni quotidiani – come certa, definitiva, come è possibile che altri Premi Nobel siano in disaccordo con Parisi? Mi riferisco a tre premi Nobel per la Fisica: John Clauser, Nobel nel 2022; Ivar Giaever, nel 1973; Carlo Rubbia, nel 1984. Se utilizzassimo le loro posizioni non ci sarebbe un interpretazione dei dati tale da ipotizzare un allarme climatico. Che ne pensa?
E’ largamente diffusa la convinzione che il 97% della comunità scientifica sia d’accordo sul fatto che il cosiddetto global warmimg sia dovuto alla CO2 prodotta dall’uomo. Questa percentuale, che si avvicina a un dogma di fede, è citata ovunque ma pochi sanno che é stata ottenuta da ricercatori pochi avvezzi alla statistica. Nel 2009, una studentessa, Maggie Zimmerman, e il suo docente, Peter Doran nell’ambito di un dottorato fanno questo tipo di sondaggio. Inviano 10257 email ad esperti del settore, ponendo due domande molto ampie e ampiamente interpretabili. A queste email rispondono 3146 esperti, con 2/3 del campione non partecipante. I due ricercatori poi creano un sottogruppo di 79 ultra-specialisti che devono rispondere a due domande molto ampie e ambigue riguardanti l’andamento della temperatura globale media negli ultimi due secoli (se in salita, in discesa o stazionaria) e l’influenza dell’attività antropica sul clima.
Le due domande non riguardano eventi meteorologici catastrofici (ma solo di valori medi di temperatura) e percentuali di cambiamenti del clima (non importa se al 5%, 30% o al 99%, tutto molto generico e confondente quindi). Il 97,4% degli ultra esperti rispondono che la temperatura globale media é aumentata negli ultimi secoli e che l’uomo é in grado di cambiare il clima. Da tutto questo deriva il supposto consenso mondiale del 97% sul riscaldamento globale dovuto a colpe umane e sulla imminente catastrofe planetaria. Tra l’altro questo fatidico ed errato risultato statistico del 97% è stato pubblicato come lettera, e non come paper scientifico con tutti i controlli e i processi di peer review che questo comporta, su EOS. Tale rivista ha un impact factor (indice di autorevolezza) di 2.7 molto più basso di quello della rivista Nature che ha un impact factor di 64.8. Non a caso i tre premi Nobel per la Fisica, Ivar Giaever (1973), Carlo Rubbia (1984) e John Clauser (2022) vengono etichettati ed attaccati continuamente dai catastrofisti climatici perché non climatologi dimenticando che Parisi (Nobel per la fisica 2021) non é un climatologo.
Negli anni 70′ c’erano titoli del TIME, in cui si sosteneva che fossimo nei pressi di un prossima era glaciale. Poi, quei modelli previsionali, quei climatologi sicuri e – che generarono psicosi nei lettori – scomparvero all’improvviso, e dagli anni 90′ si parla di era del surriscaldamento. Come è possibile questa sequela di errori?
Nel 1971 Steven Schneider (1945-2020), climatologo della Stanford University, pubblicò su Science un lavoro nel quale dimostrò che l’effetto raffreddante delle polveri prodotte dagli uomini era di gran lunga superiore a quello riscaldante della CO2 prodotta dall’uomo e questo lasciava prevedere un “next global cooling”. Ma nel 1988 Steven Schneider contribuì alla formazione dell’IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change) e pubblicò numerosi lavori sulla produzione antropica di CO2 che lasciava prevedere un “next global warming”. Ma perché questi atteggiamenti diversi, una volta a favore del global cooling e un’altra volta a favore del global warming? La risposta sta nella complessità dell’atmosfera che é un sistema estremamente non lineare con innumerevoli processi di azione e retroazione -i cosiddetti feedback-, ancora poco conosciuti. Le approssimazioni e le semplificazioni utilizzate finiscono per descrivere una atmosfera molto diversa da quella reale.
Quindi i modelli previsionali che vengono attualmente utilizzati sono “semplificati”, troppo “semplificati”? Che significa?
Per far capire bene ai miei allievi universitari il significato di un “sistema complesso“ sono solito far vedere un’immagine molto semplice, nella quale una persona in buona salute é seduta su un divano dopo una doccia calda, con i piedi immersi in una bacinella di acqua bollente, e un termometro in bocca. Quando chiedo agli allievi che cosa succede al termometro, quasi tutti rispondono che la temperatura misurata dal termometro è in aumento. Ma la risposta è errata perché il corpo umano non é un pezzo di ferro, é un sistema complesso e la temperatura misurata dal termometro rimane invariata sui 36.5°C. Un sistema complesso analizzato in maniera riduzionista e deterministica non porta mai a conclusioni univoche ma sempre diverse alle quali uno può affidarsi a seconda della moda e del pensiero del momento.Un modello che usa un approccio riduzionista è fuorviante, e non sarà mai in grado di valutare correttamente i processi fisici che operano. Tale debolezza può essere superata solo con un approccio interdisciplinare-fenomenologico (Bak, 1996) che analizzi il sistema atmosfera nella sua interezza per evidenziarne una variabilità naturale, premessa necessaria per una corretta valutazione di eventuali cambiamenti climatici di natura antropica. Il ricercatore che analizza un sistema complesso come l’atmosfera deve avere il coraggio di uscire dall’interno del fenomeno indagato e cercare di vederlo dall’esterno come se fosse davanti a uno schermo televisivo. Le leggi classiche semplicemente svaniscono se si guarda troppo da vicino ma emergono chiaramente solo quando ci si allontana, come accade con i dipinti di Monet (Mazzarella, 2007, 2008).
Daniele Di Pietro, 14 dicembre 2024
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