Un progetto di legge riguardante le università telematiche e firmato Avs (Alleanza verdi e sinistra, prima firmataria l’onorevole Elisabetta Piccolotti) interpreta bene il fallimento ideologico e morale del vecchio mondo comunista, che un tempo – pur con tutti i suoi limiti – muoveva da esigenze radicate nella società. Un’area politica che vorrebbe presentarsi come “alternativa”, è in realtà al servizio del potere più consolidato e retrivo, reggendo la coda alle baronie egemoni e ai loro interessi mai del tutto chiari.
È pure significativo che chi agita la bandiera rossa e a parole dice di difendere i più deboli abbia costruito un’alleanza strutturale con gli ecologisti radicali, fautori delle politiche più ferocemente avverse alla povera gente (si pensi al dirigismo in stile Mario Draghi della green transition), che stanno mettendo a rischio le condizioni di vita delle fasce maggiormente fragili della popolazione.
Di fronte ad atenei telematici che stanno crescendo a vista d’occhio, la sinistra ZTL (una vera e propria gauche caviar) mostra insofferenza e fastidio. Sembra infatti non volere accettare che le nuove realtà d’avanguardia rispondano a esigenze diffuse soprattutto nei ceti popolari e in quanti non sono in condizione di trasferirsi in una città universitaria. Perché le telematiche non sono per nulla le università dei ricchi; semmai è l’opposto.
Per quale motivo, allora, l’area rosso-verde vuole impedire lo sviluppo degli atenei online?
L’esplicita e dichiarata ragione della loro avversione è il fatto che alcune università private (non quelle costituitesi come fondazioni, ma quelle invece che sono società di capitali) realizzino utili. La cosa è sorprendente, dato che le telematiche più nell’occhio del ciclone nei programmi televisivi d’impronta rosso-verde (si pensi a “Report”, soltanto per citarne uno) sono proprio quelle che formalmente non realizzano profitti, anche se poi in realtà sono usate a loro personale favore da quanti le controllano.
Se la sinistra odierna avesse qualcosa della serietà dei comunisti di un tempo, cercherebbe di capire cosa avviene in tante fondazioni universitarie, e non punterebbe il dito contro chi persegue il profitto alla luce del sole e mettendosi al servizio dei clienti. Come il macellaio, il birraio e il fornaio del celebre passo di Adam Smith, le nuove realtà che stanno trasformando il mondo dell’alta formazione fanno il bene altrui nel momento in cui cercano di “fare soldi”. In effetti, il crescente successo dei corsi offerti dalle università telematiche che operano sul mercato è proprio conseguente all’esigenza di dare al pubblico lezioni di qualità sempre più alta.
Soprattutto, se ancora ci fossero i “trinariciuti alla Peppone” forse s’interrogherebbero su ben altre questioni. Innanzitutto cercherebbero di fare luce sull’esistenza di quei potentati – nelle università statali – che usano le risorse di tutti noi per fini molto privati, intrecciando stretti rapporti tra istituzioni pubbliche e private, soprattutto grazie ai consigli di amministrazione degli atenei tradizionali.
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Oltre a ciò, si domanderebbero perché gloriose università di matrice medievale, talora con una reputazione piuttosto alta, non siano riuscite a soddisfare la domanda dei lavoratori studenti (chi lavora ed è tornato a studiare) e degli studenti lavoratori (chi studia, ma ha pure bisogno di mantenersi con qualche lavoro, anche part-time). Un tempo le università elargivano i corsi serali, ma poi non s’è fatto più nulla.
Se fossero meno superficiali e più attenti alle reali dinamiche sociali (soprattutto nelle periferie delle città e nei piccoli centri) quanti si presentano come eredi della sinistra socialcomunista capirebbero che sono proprio le università tradizionali a essere dominate da logiche elitarie: esse lavorano essenzialmente per i ceti benestanti, e non mostrano il minimo interesse per le fasce più deboli.
Tra l’altro, nel momento in cui cita i dati sugli utili delle telematiche l’onorevole Piccolotti, che è pure moglie di Nicola Fratoianni, nemmeno s’accorge di fare un autogol. Quegli utili di bilancio attestano che le telematiche versano all’erario somme consistenti. Mentre uno studente di un’università statale pesa sul bilancio pubblico – per il solo Fondo per il finanziamento ordinario (Ffo) – ben 5.701 euro, chi studia a Unipegaso, Mercatorume San Raffaele Roma non soltanto non grava sui contribuenti, ma fa arrivare allo Stato 331 euro (dato che il gruppo che riunisce questi tre atenei nel 2022 ha versato 48 milioni di imposte). Il che significa che le tre università for-profit sopra ricordate hanno finanziato l’Ffo di più di 5 mila studenti degli atenei statali.
Nelle sue confuse argomentazioni contro il nuovo mondo universitario e a difesa dell’ancien régime, l’on. Piccolotti sottolinea pure il legame tra il centro-destra e il responsabile di UniCusano, Stefano Bandecchi (che è pure sindaco di Terni). UniCusano non è però un’università che produce utili, dal momento che è gestita da una fondazione, e quindi nemmeno versa imposte. Evocare Bandecchi per giustificare la volontà – in parte ideologica, in parte corporativa, in parte classista – di colpire gli atenei che realizzano profitti non ha allora il minimo senso. Può impressionare soltanto chi di università non ne sa proprio nulla.
Per dirla con Giovanni Sallusti (che sul tema ha scritto un brillante volume), quanto ci mancano i vecchi comunisti…
Carlo Lottieri, 2 ottobre 2024
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