Il punto di vista di Vladimir Putin sulle sanzioni lo ha riassunto bene, giorni fa su Facebook, l’account francese indipendente “H5 Motivation” quando ha ricordato come Putin, durante un convegno nel 2017, commentava le sanzioni applicate alla Corea del Nord: “La Corea del Nord è un piccolo Paese e alla fine le sanzioni permanenti, con cui convive da 12 anni, hanno solo rafforzato il regime. Oggi, a causa delle sanzioni, nessuno sa cosa accade in quel territorio ma al posto dell’artiglieria primitiva che possedeva in passato, ora ha dei missili sofisticati di media portata, la bomba all’idrogeno e non ha smesso di armarsi nonostante il blocco dei conti bancari. Oggi nessuno sa dove sia custodito il suo arsenale bellico, in quali e in quanti siti, perché nessuno può entrare a ispezionarli. La Corea del Nord, dal momento delle sanzioni internazionali, ha infranto ogni impegno a cui era vincolata e si è messa a perseguire un suo programma nucleare. Per questo la retorica militare è dannosa”.
L’escalation retorica degli Usa
La retorica militare non è solo dannosa, ma anche imprevedibile perché spesso sfugge di mano e provoca reazioni opposte a quelle desiderate. Eppure diventa indispensabile quando – come si ha la sensazione stia avvenendo oggi in Ucraina – un conflitto si combatte “per procura”.
Nonostante sia i democratici che i repubblicani siano impegnati in un’escalation di retorica anti putiniana – basti pensare alla definizione lapidaria del presidente Joe Biden di qualche mese fa (“Putin è un killer”) o al poco diplomatico tweet dell’altra sera del senatore repubblicano Lindsey Graham (“C’è un Brutus in Russia? C’è un più fortunato colonnello Stauffenberg nell’esercito russo?”), che ha costretto la Casa Bianca ha prendere le distanze (“Non sosteniamo l’assassinio di un leader straniero o il cambio di regime. Questa non è la politica degli Stati Uniti”, ha dichiarato la portavoce Jen Psaki) – la verità è che alla base della strategia Usa c’è un ferreo assunto che la rende “spuntata” agli occhi dei suoi avversari. Questo si può riassumere, complice l’avvicinarsi delle elezioni di Midterm e l’ancora bruciante e luttuosa chiusura della campagna militare in Afghanistan, in sole cinque parole: “No boots on the ground”.
La decisione dell’America
Lo ripetono come un mantra politici, analisti, giornalisti delle principali emittenti, sia liberal che conservatrici, siano essi “falchi” o “colombe”: nessun soldato americano deve rischiare la propria vita in Ucraina. Uno Stato che la maggior parte degli americani fatica a collocare, almeno fino a ieri, sulla cartina geografica. Non sorprende, quindi, che la vice presidente Kamala Harris, giorni fa, ne abbia dato questa testuale definizione: “L’Ucraina è una nazione in Europa. Esiste vicino a un’altra nazione chiamata Russia. La Russia è una nazione più grande, la Russia è una nazione più potente. La Russia ha deciso di invadere una nazione più piccola, chiamata Ucraina, e questo fondamentalmente è sbagliato”.
Le sanzioni a Putin arma spuntata?
Colpire il Cremlino attraverso le sanzioni serve, più che a piegare Mosca che potrà beneficiare di altri mercati (tutti quelli dei Paesi che sulle sanzioni si sono astenuti, e che per popolazione superano chi le ha votate), a far uscire dall’impasse l’America che, come un giocatore infortunato, è costretta a rimanere in panchina, anche se è il più forte della squadra. Questa è la critica rivolta all’amministrazione Biden, accusata di essersi mossa troppo lentamente e poco incisivamente, da più fronti, anche interni al suo partito. E ovviamente dall’opposizione repubblicana, che ha presentato risoluzioni durissime, tra cui la richiesta di processare Putin per crimini di guerra in Ucraina e di porre un veto immediato all’importazione di energia dalla Russia, che solo dal petrolio acquistato dagli Usa intasca circa due miliardi di dollari al giorno.
L’impossibile golpe per uno yacht
John Brennon, ex direttore della Cia, si è spinto a dichiarare che “i giorni di Putin sono contati”, convinto che la pressione sugli oligarchi possa aizzare la fiamma della rivolta contro il presidente della Federazione Russa. “Non basta bersagliare gli oligarchi. Ogni cittadino russo ha un cellulare e ha parenti all’estero, molti anche in Ucraina, e tutti usano internet” – ha esortato David Satter, storico e corrispondente da Mosca, espulso dal governo russo nel 2013 – “Bisogna lavorare con questi strumenti perché una gran parte della popolazione è consapevole dei crimini del regime putiniano e se verranno colpiti nel portafoglio, nei loro interessi vivi, si potranno ribellare anche a livello militare, come i due generali che avevano ammonnito Putin di non invadere l’Ucraina”.
Quella del regime-change, una mossa più desiderata (e disperata) che realisticamente tenuta in conto anche dagli americani, potrebbe creare più danni che benefici nell’opinione pubblica internazionale, contribuendo a tagliare ogni residuale via d’uscita diplomatica ancora percorribile. “Le sanzioni annunciate dalla Casa Bianca, tra cui il sequestro degli yacht degli oligarchi e la creazione di un Dipartimento ad hoc per scovare le loro attività criminali, sono mosse coreografiche del governo per far credere che si sta battendo per il popolo ucraino” ha commentato Laura Ingraham, conduttrice di punta di Fox News.
La stessa Jen Psaki, portavoce di Biden, rispondendo ai giornalisti ha definito così lo scopo delle sanzioni: “Vogliamo far sentire la pressione agli oligarchi”. Il tentativo, un po’ ingenuo, è che dai super ricchi possa partire la fronda contro lo “zar” del Cremlino, a cui tutti devono le loro fortune. Tuttavia è difficile che qualcuno tra loro sia pronto a fare la fine di Mikhail Khodorkovsky, in cambio del rilascio di un panfilo che magari batte bandiera panamense ed è intestato a società off-shore a loro non riconducibili.
Dottrina Putin contro dottrina americana
Per questo, non tutti sono così ottimisti sui risultati di sanzioni e sequestri per piegare la leadership di Putin. “Concordo con quanto ha detto il senatore Graham: nemmeno un singolo soldato americano deve andare in Ucraina ma noi abbiamo tantissime sofisticate apparecchiature militari che possiamo inviare stanotte. Possiamo fornire intelligence stanotte, per aiutarli a vincere – ha dichiarato Newt Gingrich, portavoce della Casa Bianca sotto Donald J.Trump – Se si vogliono aiutare gli ucraini, fate arrivare le armi stanotte. Portate le armi tramite la Cia, portate le armi attraverso coperture, portate le armi tramite aziende private. La dottrina russa è una sola: vincere. I russi agiranno finché è necessario, useranno tutti i mezzi barbari contro i civili, sul modello della Cecenia. Non si ritireranno mai, come ha ribadito Macron. Mentre la dottrina americana afferma: ‘Non si ricorre mai al nucleare finché non devi difendere la patria’, la dottrina russa è ferrea: ‘Puoi usare qualsiasi sistema si riveli vincente’. E non c’è deroga a questa dottrina, anche se dovessi abbattere centrali nucleari per vincere”.
Beatriche Nencha, 5 marzo 2022