Politica

Guerra in Medio Oriente

Perché le Università si schierano con Hamas

Dalla Sapienza alla Normale fino agli atenei americani: quelli che scambiano i terroristi per combattenti della libertà. Ma c’è un motivo

università Hamas

Recentemente è stato diffuso il resoconto di una testimone oculare dei barbari eventi avvenuti lo scorso 7 ottobre. Si tratta di una ragazza. Costei ha visto con i propri occhi tutto l’orrore e la disumana ferocia dei terroristi di Hamas. Racconta di come questi nobili combattenti della resistenza palestinese abbiano stuprato giovani donne all’interno dei Kibbutz assaltati. Di come abbiano sparato loro in testa mentre venivano stuprate. Di come le abbiano mutilate, fatte a pezzi e si siano lanciati per gioco parti dei loro corpi tagliuzzati. Di come la testa di una di queste vittime sia stata portata in trionfo come osceno trofeo di guerra.

Alcuni parlano anche di atti di necrofilia commessi a danno di donne ebree, dei cui corpi è stato fatto ulteriore scempio nonostante giacessero morti. Di come i “partigiani” di Hamas abbiano dato fuoco ai corpi dei bambini e dei neonati dopo averli crivellati a colpi di mitra tanto da impedirne il riconoscimento. “Li uccidiamo perché altrimenti crescerebbero come soldati”. L’elenco di particolari agghiaccianti sarebbe lungo.  Eppure, in Italia e nel mondo, questi assassini godono di un certo rispetto. Eppure tutti questi sanguinolenti dettagli sulle loro imprese eroiche non sembrano sufficienti.

Non sembrano sufficienti per capire, e per far capire, chi sia il vero nemico da combattere in questa vicenda. Chi incarni davvero il male da estirpare. In Italia sono molte le università che si sono prodotte in manifestazioni, cortei, sit-in di protesta contro Israele, considerato una nazione terrorista e imperialista. A Roma la facoltà di Scienze politiche dell’università La Sapienza è stata occupata; gli studenti hanno annunciato una manifestazione davanti al rettorato inneggiando alla “resistenza palestinese” e definendo quanto avvenuto il 7 ottobre la “controffensiva di un popolo oppresso”.

Alla Normale di Pisa si dicono “molto preoccupati per quanto sta avvenendo a Gaza” definita una “prigione a cielo aperto per il popolo palestinese oppresso militarmente”. A Bologna un centinaio di eminenti studiosi hanno definito il massacro dei Kibbutz una “rappresaglia annunciata”. Anche in alcune università americane, Harvard in testa, si è indicato Israele come responsabile per il sangue versato da Hamas il 7 ottobre. Ebbene, perché tutto ciò? Che forse un’ondata di follia abbia investito i principali atenei italiani e internazionali? Possibile che tutti questi studenti, professori e ricercatori siano così ciechi da non vedere la verità del massacro? Per quale motivo la causa palestinese, anche nelle sue forme più abbiette e barbare, riscuote ancora così tanti consensi tra il ceto “intellettuale”? Probabilmente la ragione di oggi è la stessa di qualche decennio fa, ossia il fascino, o la compassione, che suscita il guerrigliero che combatte contro il nemico per la propria libertà.

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All’inizio della sua storia i movimenti per la causa palestinese possedevano al loro interno diverse ideologie e filosofie ispiratrici; il Fronte per la liberazione della Palestina di Habash aveva ispirazioni marxiste-leniniste; il Fronte democratico per la liberazione seguiva invece la dottrina maoista; Fatah è di ispirazione (si fa per dire) socialista. Ma tutti questi movimenti avevano in comune una caratteristica, ovvero la lotta armata contro un nemico considerato imperialista e oppressore. In passato accorsero da tutto il mondo per supportare la causa di questi gruppi. Famosa era l’Armata rossa giapponese di Fusako Shigenobu (non si è mai capito cosa collegasse il Giappone alla causa palestinese ma tant’è) che si rese responsabile del massacro all’aeroporto di Lod nel 1972 in aiuto al Fronte per la liberazione.

Da sempre, per le menti fragili, chi si oppone all’oppressione è visto come un eroe, un combattente per la libertà. Non importa che nei fatti sia niente più che un terrorista, questa immagine è ancora scolpita nella mente di molti osservatori. In questi movimenti confluirono le idee terzomondiste e anti-colonialiste di Frantz Fanon che nei suoi scritti vedeva nella violenza lo strumento attraverso cui i popoli oppressi dai colonizzatori potevano recuperare la loro identità. I palestinesi presero alla lettera questa dottrina e iniziò la stagione del terrorismo armato. Il sacrificio e la morte rituale, oltre alla brutalità verso il nemico, divengono gli strumenti necessari della lotta per l’indipendenza.

Ancora oggi, nel nostro Occidente decaduto e soprattutto nell’inutile Onu, la visione terzomondista è fortissima e Israele viene ancora visto come uno Stato che opprime il popolo palestinese e lo costringe ad un violento apartheid. Benché possa sembrare evidente che Hamas non abbia nulla a che vedere con la causa palestinese e che sia solamente un movimento terrorista di matrice islamica, agli occhi di molti essi appaiono come combattenti per una giusta causa. Quale causa può essere così importante da giustificare la decapitazione di un bambino o il fare a pezzi il corpo di una donna dopo averla stuprata?

È nell’ideologia terzomondista condita con abbondanti dosi di politicamente corretto e un po’ di insana melassa umanitaria che bisogna cercare la ragione di un appoggio ideologico alle azioni contro Israele. Il cortocircuito è stato talmente profondo da far identificare i palestinesi come una sorta di “nuovo proletariato” che si oppone al potere imperialista-capitalistico rappresentato da Israele. E considerando il clima culturale che a partire dai moti del ’68 circonda molte università in Europa e negli Usa non ci si sorprende troppo degli appelli che abbiamo udito in queste settimane.

Identificare il nemico nello Stato ebraico è una stortura ideologica che si condisce di quell’antica e mai sopita compartecipazione spirituale verso il guerrigliero che lotta per la libertà del suo popolo. Alcuni mesi fa Gilles Kepel, uno dei più grandi studiosi del Medioriente, raccontò di come la sua cattedra alla Scuola normale superiore di Francia fosse stata cancellata e sostituita con un master sulla decolonizzazione. Tanto per rimanere in tema di clima culturale deviato. Hamas è un gruppo terrorista senza nulla a che vedere con la causa palestinese. Sono i suoi stessi capi a confermarlo con chiarezza. Il loro obiettivo è la cancellazione di Israele, la guerra permanente, non dare una terra a chi non ce l’ha. E la guerra loro la combattono col terrorismo e la barbarie. Equivocare questo significa essere ciechi. Vuol dire non aver compreso nulla di quanto accade a Gaza.

Che a non capire siano i partecipanti ai cortei nelle grandi città è un conto. Ma che simili idee siano supportate anche nelle più prestigiose università del mondo è un fenomeno inquietante e allo stesso tempo raccapricciante.

Francesco Teodori, 12 novembre 2023