Perché l’establishment si oppone al premierato

Il ddl Casellati ha colpito nel segno, ma ci sono due aspetti che vanno migliorati

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meloni premierato

Il Consiglio dei Ministri ha approvato venerdì il ddl Casellati di revisione costituzionale che introduce, alla forma di governo parlamentare, la variante del premierato. Ce ne siamo già occupati su questo sito qualche giorno fa con un articolo che analizzava il ddl nel suo complesso, oggi vorremmo soffermarci su un punto specifico: l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri e le sue implicazioni.

Il ddl Casellati prevede che il Presidente del Consiglio sia eletto a suffragio universale e diretto, cioè direttamente dal popolo, con l’obbligo da parte del Presidente della Repubblica di conferire al Presidente eletto – e solo a lui – l’incarico di formare il nuovo governo. Il Presidente del Consiglio così nominato deve presentarsi alle Camere entro dieci giorni e chiedere la fiducia. Se non accordata, il Capo dello Stato deve nuovamente conferirgli l’incarico, ma se la fiducia gli fosse nuovamente negata il Presidente della Repubblica dovrà sciogliere le Camere e indire nuove elezioni. Se, invece, nel corso della legislatura il Presidente del Consiglio eletto fosse sfiduciato dal Parlamento (anche da una sola camera, come accade adesso) o si dimettesse spontaneamente, il Presidente della Repubblica avrà due strade: potrà conferire l’incarico di formare il governo nuovamente al Presidente eletto oppure ad altra persona (che sia un parlamentare) collegata alla maggioranza che ha portato al governo il Presidente eletto.

Il ddl Casellati introduce dunque una norma cosiddetta “anti-ribaltone” che priva il Capo dello Stato di farsi partecipe di manovre di palazzo, come accaduto negli ultimi trent’anni, che snaturino o addirittura tradiscano il voto popolare. Di esempi ce ne sono tanti, due su tutti gli esecutivi Monti e Draghi, due governi espressione diretta del Presidente della Repubblica che hanno fatto peggio dei partiti. Ma non solo. Nel dicembre 1994 e nell’agosto del 2019 il Quirinale si fece parte politica attiva nella formazione di governi, rispettivamente Dini e Conte II, che escludevano dalla compagine governativa il partito (Forza Italia nel 1994) e la coalizione (il centrodestra nel 2019) che avevano ottenuto più voti alle elezioni. Idem nel 2013, quando la lista che aveva ottenuto più consensi nelle urne (il M5S) rimase cinque anni all’opposizione. Il ddl limita i poteri del Presidente della Repubblica? Per la verità limita una prassi arbitraria che di fatto il Presidente si era preso.

Il ddl Casellati blinda di fatto il risultato elettorale e lo sottrae a manovre estranee al processo democratico ed elettorale. Per questo motivo l’establishment non ci sta, tanto è vero che l’ex Presidente del Consiglio e della Corte costituzionale Giuliano Amato è presto intervenuto per denunciare come il ddl del governo sottragga poteri al Parlamento e al Presidente della Repubblica, snaturando la forma di governo parlamentare.

Per approfondire:

In realtà il ddl Casellati di revisione costituzionale in oggetto, come si è già scritto, impedisce di fatto che la sovranità popolare venga tradita da manovre che vadano contro il voto popolare. Un Presidente del Consiglio eletto è tale per volontà del popolo, e – stando al testo del ddl – può essere sostituito benissimo nel caso venga sfiduciato in corso di legislatura o si dimetta spontaneamente. Ma non da un Monti o un Draghi usciti dal cilindro del Presidente della Repubblica, bensì da persona collegata al medesimo Presidente del Consiglio eletto, in modo tale da non snaturare il voto popolare. Certo va pur detto, come mera ipotesi di scuola, che questa sostituzione potrebbe generare qualche conflitto tra i leader della maggioranza, ma è difficile pensare che il secondo premier non eletto decida di giocare in proprio. Non avrebbe la maggioranza per farlo.

Ciò che invece non va nel ddl Casellati è altro, non quello che scrivono Amato e sodali.
Le migliorie da apportare, a nostro avviso, riguardano principalmente due aspetti.
Il primo problema sta nella non attribuzione di maggiori poteri al Presidente del Consiglio eletto. Un Presidente che sia espressione diretta della volontà popolare dovrebbe avere il diritto quantomeno di nominare e revocare i Ministri del suo governo, esattamente come avviene per sindaci e presidenti di regione che, eletti direttamente dal corpo elettorale, nominano e revocano i loro assessori.

Se si pensa che negli Stati Uniti d’America il Presidente, che è sia capo dello stato che capo del governo, è eletto col sistema indiretto dei grandi elettori ma può nominare e revocare a suo piacimento i segretari di stato, non si comprende la logica del ddl Casellati nella parte in cui, prevedendo l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, non gli conceda neppure il potere di nominare e revocare i Ministri. Questo vien fatto per non turbare i sogni del Presidente della Repubblica. Ciò causerà però inevitabilmente un conflitto tra poteri. Un Capo dello Stato, non eletto a suffragio universale e diretto ma dal Parlamento, potrà rifiutare la nomina di Ministri proposti da un Presidente del Consiglio legittimato da un’elezione diretta da parte dei cittadini. Non sta in piedi. In Gran Bretagna, dove l’elezione del primo ministro è tra l’altro indiretta, l’inquilino di Downing Street può nominare e revocare i suoi Ministri senza che il Re possa dire mezza parola. Se in Italia lo si vuole addirittura far eleggere direttamente dal popolo, una cosa che per la verità se non sbagliamo non esiste in nessuna parte del mondo, il Presidente del Consiglio deve a maggior ragione potersi scegliere i Ministri che vuole.

Il secondo problema sta nella questione della fiducia iniziale. Il Presidente eletto, come si è già scritto, una volta nominato deve presentarsi entro dieci giorni davanti alle Camere e chiedere il voto di fiducia iniziale. A cosa serve la fiducia iniziale del Parlamento se il Presidente è stato eletto direttamente dal popolo? Sindaci e Presidenti di regione, eletti a suffragio universale e diretto, non devono ottenere nessun voto di fiducia iniziale da parte di consiglio comunale e regionale, come è logico che sia vista la loro investitura popolare. Crediamo che la previsione del voto di fiducia iniziale sia stata inserita, come si legge da qualche parte, per non “irritare il Quirinale”. In Italia, inutile negarlo, un governo legittimato dal voto popolare (come lo è l’attuale esecutivo Meloni) non può fare nulla senza passare dalla mannaia censoria del Quirinale. Da Napolitano in poi la nostra è diventata una “monarchia parlamentare”, e questo senza mutare di una virgola la Costituzione. Ora basta, è l’ora di cambiare: rafforziamo il potere del Presidente del Consiglio e il Presidente della Repubblica torni a fare quello che faceva nella Prima Repubblica: il garante della Costituzione.

Paolo Becchi e Giuseppe Palma, 6 novembre 2023

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