Perché l’Italia rischia di diventare una preda

Sembra di rivedere la scena di fine Quattrocento quando l’Italia divenne obiettivo di altre potenze

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Si sta svolgendo una guerra, neanche troppo coperta, per stabilire quale tra le maggiori potenze avrà influenza decisiva in Italia nei prossimi anni. L’Italia oggi è fragile e ha davanti a sé prove tremende. Quando il debito sarà oltre il 150% sul Pil e il rapporto deficit/Pil sfonderà il 10%, sponde estere saranno indispensabili. Non si tratta solo di geopolitica, in gioco c’è anche molto business da acquisire: grandi aziende pubbliche, Eni in testa, imprese private, banche, risparmio da gestire.

Il nostro sistema di riferimento, l’Europa guidata da Germania e Francia, è indebolito da un lungo periodo di crescita asfittica, da un apparato decisionale macchinoso, soprattutto in tempo di crisi, dalla divaricazione sempre più marcata fra le economie che lo compongono. Tuttavia è il sistema che con la Bce puntella il nostro debito e da dieci anni (golpe anti-Gheddafi del 2010 da noi sostenuto contro i nostri stessi interessi; cambio pilotato da Berlusconi a Monti nel 2011) indirizza tutte le nostre scelte politiche. Oggi si trova in affanno – lo conferma con la sua compulsiva tattica del rinvio anche l’ultimo Consiglio Ue – e in Italia si apre lo spazio per l’intervento di altri protettori.

La Cina, che già controlla il 35% di Cdp Reti (Snam, Terna, Italgas), ha intensificato nell’ultimo biennio un’offensiva di simpatia e di penetrazione commerciale, gode dell’amicizia vaticana, ha molti sostegni nell’establishment. Gli Stati Uniti, molto divisi e presi da altre priorità, per qualche tempo hanno mostrato verso l’Italia una benigna negligenza, ma ora – pressati dallo scontro con la Cina – mostrano segni di crescente attenzione: maggior peso alle alleanze per favorire governi meno esposti con Pechino, promesse di aiuti finanziari, movimenti delle élite atlantiste (un esempio per tutti: Molinari alla guida editoriale del gruppo Repubblica) per creare una svolta strategica in linea con la tradizione occidentale. Germania e Francia, oggi in fase di aspra competizione, cercano di mantenere la presa.

Sembra in qualche modo di rivedere la scena di fine Quattrocento quando l’Italia, splendente e spaccata, divenne obiettivo di altre potenze, teatro di guerre altrui. Il tratto comune con la situazione di oggi è la disgregazione politica e istituzionale: conflitti fra Governo, Regioni e Comuni, scontri fra le varie Regioni (sono le cambiali della riforma fatta nel 2001 che vengono a scadenza), dpcm che fissano – senza cognizione delle Camere – drammatiche riduzioni della libertà personale, partiti sfilacciati e messi ai margini, amministrazione sempre meno propensa alle decisioni (anche per timori giudiziari), legislazione in clamoroso calo di qualità.

È la disgregazione che rende drammatico il crollo economico e mette a repentaglio le nostre imprese eccellenti: in Europa le principali nazioni reggono perché hanno istituzioni che funzionano, rapporti equilibrati fra i poteri dello Stato, disegni costituzionali coerenti. Se non nasce una riscossa della politica che riprenda in mano le istituzioni, dalle prove dei prossimi mesi l’Italia rischia, come un tempo, di uscire preda.

Antonio Pilati, 26 aprile 2020

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