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Perché Meloni deve convergere sul “premierato”

Inizia la lunga partita per le riforme costituzionali. L’ipotesi di un accordo con il Terzo Polo

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Da giorni si parla di riforme costituzionali. Il mese prossimo il ministro Casellati incontrerà le opposizioni per vedere se c’è convergenza su una delle tre soluzioni al vaglio della maggioranza: presidenzialismo, semipresidenzialismo o premierato. Sappiamo già sin d’ora che Pd e M5S sono contrari sia al presidenzialismo che al semipresidenzialismo, mentre il Terzo Polo non chiude la porta al dialogo, avendo più volte – soprattutto Renzi – parlato di “Sindaco d’Italia”, una soluzione che si avvicina al premierato. Una soluzione sulla quale potrebbe alla fine convergere anche il Pd, nel caso vincesse Stefano Bonaccini nel confronto interno. Nel caso invece la segreteria dem andasse a Elly Schlein, ogni dialogo sarebbe precluso.

Certo la maggioranza ha i numeri sufficienti in Parlamento per fare da sé, dunque potrebbe andare avanti da sola. Ma i numeri a disposizione del centrodestra sono quelli necessari e sufficienti per l’approvazione della revisione costituzionale, ai sensi dell’art. 138 della Costituzione, a maggioranza dei componenti in seconda deliberazione; dunque, la riforma dovrà necessariamente superare lo scoglio del referendum costituzionale. Nel dicembre 2016 l’allora Presidente del consiglio e segretario del Pd Matteo Renzi, che volle fare tutto da solo, ci rimise le penne. Giorgia Meloni non farà lo stesso errore e cercherà di coinvolgere almeno una parte delle opposizioni.

Se si considera che presidenzialismo e semipresidenzialismo non piacciono a nessuno dei partiti di opposizione, per evitare di avere al referendum costituzionale un’armata disomogenea di centrosinistra che sfrutti quella consultazione popolare per far cadere riforma e governo, al centrodestra conviene trovare un accordo politico con il Terzo Polo e anche col Pd nel caso di vittoria interna di Bonaccini. E allora la soluzione praticabile è quella del premierato. Vediamone brevemente gli aspetti principali.

Il premierato è una variante della forma di governo parlamentare, dove il perno tuttavia non è il Parlamento bensì il Primo Ministro, che può nominare e revocare i ministri a suo piacimento, non deve ottenere la fiducia iniziale da parte delle Camere (potendo tuttavia essere sfiduciato successivamente, di solito con mozione di sfiducia costruttiva) e ha il potere di determinare – e non solo dirigere – la politica generale dell’esecutivo. In taluni casi, come ad esempio in Gran Bretagna, può addirittura sciogliere le Camere.

Tuttavia, perché il premierato funzioni, occorre anzitutto che il Primo Ministro goda di una diretta e chiara legittimazione popolare: serve dunque una legge elettorale a forte vocazione maggioritaria. In Gran Bretagna vige il sistema dei collegi uninominali a turno unico, che non solo consente di conoscere il vincitore e il nome del Primo Ministro già dopo poche ore dall’inizio dello spoglio delle schede, ma semplifica il sistema politico riducendo il numero dei partiti. Da noi sarebbe facile riesumare il Mattarellum originario del 1993 e adattarlo alla nuova composizione numerica delle Camere dopo il taglio dei parlamentari, anche se a dire il vero quel sistema prevede una correzione proporzionale pari a ¼ dei seggi alla Camera e uno scorporo totale al Senato (dove la quota di ¼ è assegnata ai migliori perdenti negli uninominali).

In tal caso occorrerebbero però due modifiche: 1) ciascuna lista o “listone” di coalizione dovrebbe indicare prima del voto il nominativo del proprio candidato premier; 2) il sistema di elezione per entrambe le camere dovrebbe essere uniformato, estendendo alla Camera quello del Senato (3/4 dei seggi assegnati col sistema dei collegi uninominali a turno unico e ¼ col sistema dello scorporo totale, cioè assegnando i seggi ai migliori perdenti negli uninominali). In tal modo verrebbe disinnescato il ricatto delle piccole liste della quota proporzionale prevista per il sistema di elezione della Camera. Ma non è l’unica soluzione.

Un’altra via praticabile potrebbe essere quella di una legge elettorale proporzionale, con le preferenze, che preveda l’assegnazione di un adeguato premio di maggioranza alla lista o coalizione di liste che ottiene più voti oltre una determinata soglia prestabilita, dove ciascuna lista o coalizione indichi – prima del voto – il nominativo del proprio candidato premier. A tal proposito sarebbe sufficiente rispolverare il Porcellum ovviamente così come reso conforme alla Costituzione dalla Sentenza n. 1/2014 della Consulta, prevedendo a tal proposito le preferenze e una soglia minima di voti oltre la quale scatti legittimamente un premio di maggioranza sufficiente a garantire la governabilità.

Ad onor del vero il premierato fu già introdotto dal centrodestra con la riforma costituzionale portata a compimento nella XIV Legislatura (governi Berlusconi II e III), ma bocciata nel 2006 in sede di referendum confermativo a causa del fatto che l’allora presidente di Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini, non fece campagna elettorale per fare un dispetto a Berlusconi, che a sua volta, fiutando la sconfitta, non si impegnò più di tanto. Quella revisione costituzionale, oltre a prevedere un Senato federale (col superamento del bicameralismo perfetto) e la sfiducia costruttiva, si spinse a condizionare – giustamente – la nomina del Primo Ministro da parte del Capo dello Stato sulla base dei risultati delle elezioni politiche (“Il Presidente della Repubblica, sulla base dei risultati delle elezioni della Camera dei deputati, nomina il Primo ministro”).

Tuttavia, un premierato di fatto in Italia lo abbiamo già avuto proprio per effetto del Mattarellum e del Porcellum, infatti dal 1994 al 2008 (fino al 2011), in ben cinque elezioni politiche, il nome del Presidente del consiglio era chiaro già il mattino successivo al giorno delle elezioni (Berlusconi nel 1994, 2001 e 2008; Prodi nel 1996 e 2006). Il Mattarellum consentì addirittura, per la prima volta nella storia della Repubblica, di avere lo stesso Presidente del consiglio per la durata di una intera Legislatura (Berlusconi dal 2001 al 2006).

E allora, invece di andare a schiantarsi contro il presidenzialismo o il semipresidenzialismo, la maggioranza di centrodestra trovi una convergenza sul premierato e al tempo stesso proponga una legge elettorale adeguata.

Paolo Becchi e Giuseppe Palma, 12 gennaio 2023


Su questi temi abbiamo scritto un approfondimento sulla rivista Nazione Futura, n. 19.

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