Chi domina il linguaggio domina anche la politica, che è attività orale e simbolica quante altre mai. Avrà pensato questo Giorgia Meloni quando, con indubbio spirito intuitivo, ha imposto nel lessico politico italiano due parole che non hanno da noi avuto mai troppa fortuna: conservatorismo e patriottismo. Soprattutto questa ultima è stata palesemente negletta per il predominio nella nostra ideologia politica di due culture universalistiche: la cattolica e quella internazionalistica dei comunisti (e per molta parte della loro storia anche dei socialisti).
D’altronde, gli storici, facendo riferimento alle vicende conclusive del secondo conflitto mondiale e in particolare alla ingloriosa fuga del re dopo l’8 settembre, hanno parlato di una “morte della patria” che si collocherebbe in quel frangente e spiegherebbe non poche delle strutturali debolezze della nostra Repubblica. La quale, paradossalmente, non ha avuto mai una cultura repubblicana, assomigliando per molti aspetti a una monarchia costituzionale a impianto fortemente parlamentaristico (ove il monarca simbolo dell’unità nazionale ma senza molti poteri è ovviamente il Presidente della Repubblica).
Perché il problema è proprio questo, il termine patriottismo appartiene alla cultura repubblicana anche e soprattutto nel suo senso più stretto: quello che si richiama alle repubbliche antiche, da Sparta a Roma, e che in epoca moderna ha ispirato rivoluzioni come quella francese, soprattutto nella sua fase moralistico-giacobina. “Allons enfants de la patrie…..”. Non è forse un caso che alla patria in Italia si siano richiamate culture minoritarie a forte tinta moralistica come quella azionista, da cui proveniva ad esempio Carlo Azeglio Ciampi, che per primo si impegnò in una riabilitazione del termine durante il suo settennato. Soprattutto oggi il repubblicanesimo, che è una dottrina tutt’altro che conservatrice ma progressista, ha una indubbia fortuna nell’area culturale anglosassone, grazie ad autori come Quentin Skinner, Philippe Petit e Maurizio Viroli.
I repubblicani insistono molto sulle virtù e sul senso di comunità, sui doveri e sul senso dello Stato e della legge. In questo modo sacrificano l’individuo, che è il concetto cardine del liberalismo politico dell’età moderna, sottomettendo il singolo al tutto. Capisco che questo potrebbe forse andar bene a quella parte del centrodestra che ha Giorgia Meloni come suo riferimento, ma la cultura repubblicano- patriottica, radicale e appunto anche giacobina, ha fatto forse troppi danni per essere riproposta oggi in modo irriflesso.
Certo, anche l’individualismo esagerato, sfociante spesso nel narcisismo di massa e nel relativismo, ha i suoi aspetti negativi. Meglio sarebbe perciò, ad avviso di chi scrive, lavorare sul termine di origine cristiana, ma poi anche liberale, di persona. Esso ha il pregio di mettere al centro un individuo sociale e storico che rifugge dagli opposti estremismi dell’individualismo e del comunitarismo. Non si vive da soli e si è anche in parte determinati dagli altri, ma ogni singolo uomo ha una specificità che non può essere prostrata sull’altare di un astratto “spirito collettivo”. Il personalismo e umanismo cristiano-liberale potrebbe essere la via più significativa per costruire una cultura politica di centrodestra veramente alternativa.
Corrado Ocone, 26 dicembre 2021