Russia e Finlandia sono di nuovo ai ferri corti. La causa è l’annunciata adesione della nazione scandinava, neutrale dal 1944, all’Alleanza Atlantica. Il percorso di ingresso nella Nato non è ancora partito, non è ancora stato deciso, ma già Mosca minaccia ritorsioni. La memoria, soprattutto in Finlandia, va al 1939, quando l’Unione Sovietica provò ad invadere la Finlandia, non vi riuscì, ma annesse comunque il 10% del suo territorio. Ricordare quel conflitto, combattuto agli albori della Seconda Guerra Mondiale come una vera e propria guerra nella guerra, è importante per capire anche lo scontro ancora in corso in Ucraina e i suoi possibili esiti. Le due guerre, quella del 1939-40 e quella che si sta combattendo ora, presentano analogie veramente interessanti.
Il precedente di Stalin
Nel 1939, dopo il patto nazi-sovietico del 23 agosto (il Molotov-Ribbentrop) la Finlandia rientrava nella “sfera di influenza” sovietica, assieme alla Polonia orientale e alle Repubbliche Baltiche. Subito dopo la sconfitta e la spartizione della Polonia con la Germania nazista, Stalin impose a Estonia, Lettonia e Lituania di accettare degli accordi capestro, in cui le piccole repubbliche dovevano cedere ai russi basi militari sul loro territorio e il libero passaggio dell’Armata Rossa. Quei patti, nel giro di appena otto mesi, costarono loro l’indipendenza. Stalin fece la stessa “proposta che non si può rifiutare” anche alla Finlandia.
Il governo di Helsinki, che pure era guidato da un moderato, Aimo Cajander, non poté accettare la concessione di basi e di territori, fra cui anche la penisola di Hanko da cui i sovietici avrebbero potuto minacciare direttamente la capitale. La Finlandia aveva appena assistito all’annessione di metà Polonia da parte dell’Urss (e le deportazioni dei polacchi erano iniziate praticamente subito) e all’ingresso, de facto, dei sovietici anche nei Paesi Baltici. Inoltre la Finlandia era memore della guerra civile del 1918, in cui i comunisti miravano, con l’appoggio di Mosca, ad annettere il neo-indipendente Paese alla nascente federazione sovietica.
L’invasione della Finlandia
Dopo due mesi di trattative estenuanti e di mobilitazione alle frontiere, il 30 novembre 1939 l’Urss invase la Finlandia. Qual era l’obiettivo? Due gli indizi principali: era stato già formato, a Mosca, un governo fantoccio finlandese, guidato dal comunista Otto Kuusinen (fuggito in Urss dopo la sconfitta nella guerra civile). In secondo luogo, le direttrici dell’offensiva sovietica coprivano tutto il Paese: l’area maggiormente interessata era la Carelia, oggetto principale delle trattative precedenti, ma in altri quattro punti i sovietici fecero entrare le loro divisioni, a Nord del Lago Ladoga, nella Finlandia centrale puntando verso Oulu e nell’estremo Nord verso il porto artico di Petsamo (ora Pechenega, in Russia).
La resistenza dei finlandesi
L’intento era dunque quello di prendere tutto il Paese e non solo la Carelia rivendicata dai russi come “zona cuscinetto”. Il generale Kliment Voroshilov, al comando del Fronte (gruppo d’armate) settentrionale, avrebbe voluto chiudere la campagna entro il 6 dicembre, compleanno di Stalin, una settimana dopo l’inizio delle ostilità. Andò diversamente, come molti ricordano. I finlandesi e il loro comandante in capo, Gustav Mannerheim, si rivelarono dei nemici formidabili. L’offensiva in Carelia venne fermata sulla “Linea Mannerheim”, quella a Nord del Lago Ladoga si concluse con parte dell’VIII Armata chiusa in una sacca, l’offensiva nella Finlandia centrale finì nel disastro militare di Suomussalmi e persino nell’estremo Nord, dove i finlandesi conducevano la difesa con poche compagnie di fanteria, i sovietici non raggiunsero i loro obiettivi.
Il cambio di strategia dei russi
L’opinione pubblica mondiale si svegliò condannando all’unisono l’invasore. L’Urss venne espulsa dalla Società delle Nazioni (l’Onu di allora) e da tutti i Paesi occidentali partirono aiuti in armi e volontari. Anche dall’Italia furono mandati aerei e batterie anti-aeree, benché, a causa dell’alleanza con la Germania nazista (che allora era alleata dell’Urss) non potessimo mandarle per la rotta europea più diretta. Stalin sconcertato dalle perdite sul campo e nel timore di trovarsi in guerra contro Francia e Regno Unito (che minacciavano un intervento armato diretto), il 7 gennaio 1940 sostituì il maresciallo Voroshilov con il più rodato Timoshenko e cambiò passo.
L’obiettivo non era più l’invasione del Paese intero, ma la conquista della Carelia. Dopo un mese di preparativi e dopo aver raddoppiato gli effettivi presenti in quel settore, Stalin piegò la resistenza finlandese sulla Linea Mannerheim e il 12 marzo impose la pace. Ottenne molti più territori di quanti aveva chiesto prima della guerra, la quasi totalità della Carelia compresa la capitale regionale Vyborg (ora Viipuri, in Russia), terza città finlandese per popolazione e importanza economica. Stalin poté dunque cantare vittoria. Ma fu una vittoria di Pirro, perché il suo obiettivo iniziale, la conquista del Paese era mancato.
Le successive trattative con la Germania nazista, soprattutto il colloquio fra Molotov e Hitler nel novembre 1940, si arenarono e portarono alla rottura fra le due potenze continentali fino a quel momento alleate, proprio perché Stalin voleva completare il lavoro e conquistare la Finlandia, mentre Hitler non era più disposto a concederglielo. Non appena finirono quelle trattative, il dittatore tedesco decise di invadere l’Urss: la performance pessima dell’Armata Rossa in Finlandia lo aveva anche convinto che battere i sovietici sarebbe stato molto facile.
Putin, il nuovo Stalin
Ora, sostituiamo Stalin con Putin e la Finlandia con l’Ucraina di oggi. Lo scenario è simile in modo inquietante. Non c’è una guerra mondiale, d’accordo. Ma una condizione di forte tensione internazionale. Le prime proposte di Putin all’Ucraina potevano apparire ragionevoli, ma Zelensky ha rifiutato perché forte dell’esperienza della guerra civile nel Donbass e dell’annessione della Crimea. Nella prima fase dell’offensiva sovietica (pardon! russa) in Ucraina, l’Armata entrò nel Paese lungo tutto il confine settentrionale, orientale e meridionale, quattro direttrici di offensiva che dimostravano chiaramente come l’intento fosse quello di conquistare il Paese, come traspariva dal discorso alla nazione di Putin del 24 febbraio.
L’intento era quantomeno quello di rovesciare il presidente Zelensky e il governo ucraino. I russi tentarono di prendere Kiev al primo giorno, con l’attacco aviotrasportato di Hostomel, fallito la prima notte di guerra. Poi il 25 febbraio mandarono una colonna fin dentro Kiev. Respinta anche questa manovra iniziarono il lento accerchiamento della capitale, mentre premevano su tutti gli altri fronti, senza riuscire a sfondare. Dopo un mese di guerra e dopo aver subito migliaia di perdite (le cifre sono ancora coperte da censura), Putin ha dunque cambiato passo. Ha cambiato i vertici dell’Armata, nominando al comando il più rodato generale Aleksandr Dvornikov. Ha ritirato le divisioni che accerchiavano Kiev e si sta concentrando sull’obiettivo più sensibile e importante per la Russia: il controllo del Donbass. Come per la Finlandia, l’opinione pubblica occidentale si è svegliata contro l’invasore, la Russia è stata espulsa dal Consiglio per i diritti umani e dalle democrazie occidentali continuano a partire armi e volontari per l’Ucraina.
Ricorda qualcosa? Ovviamente sì, anche se dobbiamo sempre tener presente che la storia non si ripete mai allo stesso modo. E magari stavolta può anche andare peggio. Ma è probabile che Putin, come Stalin prima di lui, possa concentrarsi su un obiettivo territoriale (e rinunciando alla conquista dell’intero Paese) così da poter cantare comunque vittoria e porre fine alla guerra. Ma anche in questo caso non vanno dimenticate le altre due lezioni della guerra finlandese: l’insoddisfazione di Mosca per la vittoria di Pirro ottenuta sul campo, può spingerla a premere di nuovo per la conquista del Paese invitto. E questo comporterebbe delle ripercussioni internazionali molto peggiori, perché gli Usa e gli alleati europei sarebbero ancor meno disposti a scendere a compromessi.
In secondo luogo, la pessima performance militare dell’Armata, benché nascosta dai propagandisti russi e dai loro numerosi amici in Occidente, è ben visibile a chi di dovere. La Nato, adesso, considererà l’esercito russo molto meno temibile di quanto si ritenesse prima della guerra. E per fortuna di Putin, stavolta dall’altra parte non c’è un Hitler che decide di invadere l’Urss. Ma ci sono Paesi di confine che chiederanno di aderire alla Nato senza aver troppa paura di una rappresaglia militare russa. Fra questi, c’è proprio la Finlandia.
Stefano Magni, 15 aprile 2022