Sport

Perché un liberale dice no alle “medaglie di Stato”

Le Olimpiadi italiane sono il trionfo degli atleti in divisa tra polizia, esercito e finanza. Per un liberale è eccessivo

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A seguito di alcuni commenti ricevuti per il mio articolo che trattava degli atleti in divisa, stipendiati per svolgere una attività sportiva, e non tutti di alto livello, abbiamo deciso di ricercare alcuni numeri, che come è importante ricordare hanno sempre la testa maledettamente dura.

In un lungo e argomentato articolo del 2013, pubblicato da Linkiesta, emergeva già all’epoca un raffronto eclatante: gli atleti con le stellette, che nella spedizione olimpica di Barcellona ‘92 costituivano il 27% degli atleti, venti anni dopo, nei Giochi di Londra del 2012, essi arrivarono al 63%. Tant’è che nello stesso articolo ci si chiese se ciò costituisse una “anomalia tutta italiana o una eccellenza del Belpaese. Quella che a molti sembra un retaggio dell’Unione Sovietica – si legge nel pezzo – dai noi è pratica totalizzante, corsia preferenziale per valorizzare lo sport agonistico, con un trend in crescendo.” Tant’è che attualmente, eliminando gli atleti espressione di sport professionistici di mercato – se così li vogliamo definire -, come i ciclisti, i tennisti e i pallavolisti presenti a Parigi 2024 – la presenza dei professionisti di Stato con le stellette è quasi assoluta.

In soldoni, su ben 47 medagliati, tra competizioni individuali e di squadra, ben 46 appartengono ad uno dei seguenti corpi militari o di polizia: Polizia di Stato con 21 atleti, Guardia di Finanza con 10 atleti, Carabinieri con 6 atleti, Aeronautica Militare con 6 atleti, e Marina Militare, Esercito e Vigili del Fuoco con un atleta ciascuno.

L’unico campione, peraltro medaglia d’oro nei 100 metri rana, senza divisa ci risulta essere il nuotatore varesino Niccolò Martinenghi, che milita dal 2019 in una delle più antiche e prestigiose società polisportive della Capitale: il Circolo Canottieri Aniene, fondato nel lontano 1892, quando ancora non era stata celebrata la prima edizione delle Olimpiadi moderne. Un’epoca pionieristica dell’attività sportiva in cui l’azione spontanea degli appassionati ne costituiva il motore, producendo nel tempo grandi campioni senza bisogno dell’intervento salvifico del nostro “caro” Leviatano olimpico sostenuto economicamente dall’ignoto e spesso ignaro contribuente italiano.

D’altro canto, il fatto che nel mare magnum della spesa pubblica, come è stato rilevato dal molti tifosi acritici di chiunque indossi una maglia azzurra, si annidino sussidi e sovvenzioni ben più rilevanti, ciò non sposta di un millimetro la questione.

Da liberale e da praticante (oltre ad aver conseguito nel 1982 il tesserino di tecnico del settore propaganda della Fidal ed essere giunto nono alla prima Maratona Internazionale Sarda nel 1981 e 15° a quella prestigiosa di San Silvestro a Roma nello stesso anno, tanto per informare quelli mi hanno accusato di non conoscere il mondo dell’atletica leggera) ritengo che pure in questo settore l’intervento pubblico sia eccessivo e che non si possa assolutamente giustificare dalla necessità di aumentare il nostro bottino di medaglie, riproponendo in salsa olimpica il classico panem et circenses.

Claudio Romiti, 18 agosto 2024

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