E le stragi servono, smuovono le coscienze, spingono alle decisioni. La salvezza nostra? Non credere ad alcuno, ragionare, diffidare. Ma come, metti sullo stesso piano la disinfomazia russa e la libera informazione ucraina? Che io sappia c’erano almeno otto canali televisivi filorussi chiusi d’autorità a Kiev, ma il punto è che tutti combattono le guerre con tutti i modi, non è un pranzo di gala, e nessuno – se non le vittime civili – è del tutto innocente. Neanche la nostra informazione è del tutto innocente: le foto, le dichiarazioni, le interviste ai prigionieri sono una violazione delle Convenzioni di Ginevra. Un prigioniero ha il dovere di dire solo nome, cognome, reparto di appartenenza. Tutto quello che viene in più, anche se spontanea dichiarazione o appello, è illegale.
L’unica salvezza, per chi sta in mezzo, è porre fine alla guerra. Perché, in attesa che i leader vadano incontro al destino delle loro scommesse, a morire sono gli altri, perché si spara nel mucchio. La cosa sfugge di mano ai leader di un’Europa che avrebbe potuto essere meno generosa nell’allettare con un tesserino Nato (c’erano undici centri Nato in Ucraina, eh) e di più nel concedere la patente europea. Cioè promettere non missili, ma un futuro di benessere, che avrebbe fatto dell’Ucraina un paese benestante, in cui le badanti per questi anziani ucraini che vediamo arrancare e morire sarebbero state russe, e le repubblichette filorusse dei floridi Sudtirolo. La pace si compra, e sono soldi meglio spesi che le armi.