La sintesi migliore la fa Pierluigi Battista: Piercamillo Davigo “dice che c’è da dispiacersi sì per i suicidi degli indagati, ma perché così si perdono fonti di informazioni”. Fanno discutere, e non poco, le parole dell’ex pm di Mani Pulite, già membro togato del Csm e già condannato in primo grado (per noi garantisti, ancora innocente) a Brescia ad un anno e tre mesi di reclusione per rivelazione di segreto d’ufficio in merito ai verbali di Piero Amara sulla presunta loggia Ungheria. Intervistato da Fedez a Muschio Selvaggio, Davigo ripercorre la stagione di Tangentopoli e quei drammatici suicidi in carcere, morti per cui dispiacersi per “pietà umana” ma soprattutto perché non possono più spifferare chissà quali notizie di reato.
Il video parla chiaro e non ci sarebbe poi molto altro da aggiungere. “Come avete vissuto quelle vicende?”, chiede Fedez in riferimento a Raul Gardini. L’ex pm non si scompone: “Purtroppo, per quanto sia crudo quel che sto dicendo, in questo mestiere capita che gli imputati si suicidino. La mortalità nelle carceri per suicidio è più alta che fuori”. La freddezza con cui Davido parla di tragedie personali dalla portata storica e personale enorme lascia di stucco. Non solo gli ascoltatori, ma anche Fedez. Il giudice sa di dire “una cosa spiacevole” eppure non si esime nell’affermare la sua “verità”: “Le conseguenze dei delitti ricadono su quelli che li commettono, non su coloro che li scoprono e li reprimono. Perché altrimenti il ragionamento porterebbe a dire: allora non fate le indagini”.
“Umanamente come ha vissuto i suicidi degli indagati di Mani pulite?”.
Da rabbrividire il modo con cui Davigo, dopo 30 anni, risponde a Fedez:
1) “Le conseguenze dei delitti ricadono su quelli che li commettono”
2) “Certo che dispiace. Perdi una fonte di informazione”
(mica una… pic.twitter.com/sZ2drIAEZQ— Ermes Antonucci (@ErmesAntonucci) December 12, 2023
E qui Davigo dimentica un paio di cosette che in un Paese guidato da una Costituzione garantista però non si possono lasciare in secondo piano. Un indagato non è un “colpevole in attesa di sentenza”, parafrasando un vecchio motto ormai diventato noto, ma un innocente su cui la Procura sta indagando o il cui processo è in fase di celebrazione. Se, dunque, un “non condannato” si uccide in carcere (peraltro in detenzione preventiva), quella “conseguenza” non ricade su una persona che ha commesso “un delitto”, ma su un libero cittadino su cui pende il solo sospetto di aver commesso un crimine. Differenza sostanziale. Il pm può essere convinto della sua colpevolezza, ma è solo il Tribunale – dopo tre gradi di giudizio – a stabilire eventuali responsabilità. Il suicidio dietro le sbarre di un innocente in attesa di processo è sempre una sconfitta.
Un minimo “di dispiacere” insomma ci dovrebbe essere, lo capisce pure Fedez. Ma a domanda diretta, cioè se l’ex pm abbia mai sofferto se alcune delle persone da lui indagate si sono tolte la vita, Davigo risponde seccamente: “Ma certo che dispiace… Prima di tutto, se uno decide di suicidarsi lo perdi come fonte di informazioni“. “Prima di tutto”. Cioè prima del valore di una vita soppressa. Prima del dolore delle famiglie. Prima del dovere di uno Stato di assicurarsi che vengano puniti solo i reali colpevoli e non gli innocenti. “Ma umanamente, caz**, un po’ di dispiacere”, no? “Certo che uno ha un po’ di dispiacere, la pietà umana c’è lo stesso però bisogna tenere la barra del timone ferma”. Ferma sul giustizialismo?
Giuseppe De Lorenzo, 13 dicembre 2023