Dicono che non è un vero politico e invece per capire dove va la politica nessuno è meglio di Calenda, Carlo Calenda. Statista purissimo, nel senso di stare, uno che sta, che vuol rimanere, vuol durare. E per restare, statico, agitato ma immobile dove sta, l’ex coccodimamma, il piccolo Enrico Bottini del Libro Cuore, rampollo tanto per cambiare petulante di buona famiglia, è disposto a fare come il cavaliere che “salì in groppa al destriero e partì in tutte le direzioni”.
Sentite che roba: “Alle Regionali correre da soli (…) non è fattibile e non lo faremo più”. Scaricato lo sventurato Soru a favore di un campo larghissimo, sconfinato, come in Abruzzo, cime in Basilicata “dove stiamo facendo un ragionamento”. Il ragionamento, squisitamente politologico, sarebbe “piatto ricco mi ci ficco”, ossia l’evangelico aggiungi un posto a tavola. O meglio la logica dell’ammucchiata stile Rocco Siffredi. “Basta che ci sia posto “, come cantava Vasco Rossi. “Ho imparato la lezione”, avverte Carletto su X. Ovvero “Mai più con Renzi, è inaffidabile”. Lui, eh? Però, continuando nel ragionamento, il nostro statista permanente da decimali elettorali, e che strano, avverte che “alle regionali è impossibile fare altrimenti. Certo, non a tutti i costi”. Che sarebbe: alle regionali devo mandare giù la pillola di Conte, ma per le europee o le politiche sono disponibile anche ad altre liaison.
Si vede che ha imparato bene la lezione di un’altra sua alleata, la Fregoli radicale, Emma Bonino, che in duecento anni di manovre, contorcimenti, inversioni a U, a X, a Y, si è alleata pure con demonio, salvo mollare anche quello (per Soros, che è anche peggio). Chiede l’Huffington Post allo stratega dei Parioli se, dati causa e pretesto, non sia il caso allora di proiettate la santa alleanza regionale su scala nazionale, ed è una domanda logica, ispirata ad una coerenza elementare, fisiologica: ma la nostra eterna promessa accusa quasi uno stranguglione: “Sì e poi cosa facciamo, decidiamo che dobbiamo stare tutti insieme contro la destra, poi non riusciamo a governare e torniamo al punto di partenza?”. Sei bravo, sei.
Insomma quo vadis Calenda? Facile: va dove lo porta il calcolo, solo che è puntualmente sbagliato. Ed è grottesco, o forse solo figlio del suo tempo, che un opportunista politico di tal fatta trovi poi il coraggio di sprezzare la politica ai livelli del “festival di Sanremo: si vota il cantante preferito e poi quando non funziona bene ci si incazza. È la logica del populismo: si vota il partito più populista e quando non piace più lo si abbandona. Già è successo ad altri, succederà anche alla Meloni”. Lui di diverso che fa? Se non si fida neanche di lui allo specchio, è tutto un dirsi e disdirsi e proporsi e disporsi e frenarsi e smentirsi da se medesimo. Questo della politica festival è il Geolier, il Ghali, anzi a dirla tutta è il Jalisse.
Andòvai, ah Carlo; per fare che? Ma sono domande inutili, la politica essendosi ridotta non a Sanremo ma alla sagra della porchetta: esserci per esserci, per stare, restare, avendo cura di non tracciare alcun altro orizzonte. Un bene rifugio per sfaccendati, gente in fuga, influencer, trasformisti per vocazione, opportunisti in missione per conto di se stessi. O eterni cocchidimamma e qui non parliamo solo del figlio d’arte, pure della rampolla viziata con armocromista di scorta: “Se ci concentriamo sulle cose da fare insieme troviamo l’accordo e siamo più forti, perché siamo d’accordo sulle idee e non sulle poltrone da spartire come questo governo”.
Also sprach Schlein salutando il possibile nuovo arrivato, il leader di se medesimo, nella zuppiera piddina. “Siamo d’accordo sulle idee non sulle poltrone”: quale idea, parafrasando il redivivo Pino d’Angiò? Non fanno un po’ schifo, con rispetto parlando? Di certo non se lo fanno, da soli e tra loro, perché la politica, che impersonano, è una scatola vuota e lo sanno. Anzi, è lunica cosa che sanno.
Una cosa è vera, e Calenda quasi quasi la coglie: durare per durare, alla lunga non è mai una buona opzione. Implica eccessiva disinvoltura, che implica un cinismo oltre il livello generale di sopportazione, che implica una disinvoltura esasperante e peraltro usurante, che implica un perenne rinnegamento, che implica la convinzione che chi ti ha votato sia scemo e scemo a vita. Ma anche i più ostinati fanatici prima o dopo s’incazzano. Proprio Giorgia Meloni ha cominciato ad accorgersene dalla Sardegna, e temiamo sia solo l’inizio.
Max Del Papa, 28 febbraio 2024
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