Nessuno ha ricordato che Latina è stata fondata novanta anni fa, e che fra dieci anni anni se ne celebra il centenario. Per singolare coincidenza la sua fondazione è nell’anno successivo alla precoce morte di Arnaldo Mussolini, fratello di Benito. Un dato storico che non è possibile cancellare, e che costituisce una caratteristica di Latina. O potremmo negare, per compiacere la Boldrini e i sostenitori, senza rischio, di Mafia capitale, che l’E42,oggi Eur, è un quartiere fascista?
Latina deve proclamarsi antifascista anche nella sua stessa costituzione muraria?
Purtroppo è impossibile. Latina è una città fascista. Precisamente è una delle più giovani città d’Italia, essendo una città di fondazione nata col nome di “Littoria” durante il ventennio fascista, a seguito della bonifica integrale dell’Agro Pontino, e inaugurata il 18 dicembre 1932. Volendo essere più precisi, si osserverà che l’inaugurazione è quasi coincidente con il primo anniversario della morte di Arnaldo, il 18 dicembre del 1931. Dovremo credere che Benito Mussolini, durante la costruzione di Latina non abbia pensato a suo fratello Arnaldo? O qualcuno vorrà cancellare Romolo e Remo dalla fondazione di Roma, e sostituirli con Falcone e Borsellino? Come ci racconta Plutarco “Romolo sembrava possedere maggiore capacità di giudizio ed un’innata perspicacia politica, mostrando nei rapporti con i confinanti per il diritto al pascolo e di caccia una naturale predisposizione al comando piuttosto che alla sottomissione”. Non osservate una vaga somiglianza con Benito?
Meglio, comunque, farli dimenticare quei due facinorosi fratelli, e ricostruire una storia più lusinghiera, antifascista e antimafiosa. Dunque Roma in realtà fu fondata nella premonizione di Falcone e Borsellino. Quali Romolo e Remo! Con quei trascorsi, poi, come ci ricorda Tito Livio: “Irrobustitisi nel corpo e nello spirito, non affrontavano solo le fiere, ma tendevano imboscate ai banditi carichi di bottino. Dividevano il bottino delle rapine con i pastori e dividevano con loro cose serie e ludiche, mentre cresceva il numero dei giovani giorno dopo giorno”. Fascistacci! E, per colpa loro, come Littoria è stata trasformata in Latina, Roma è stata chiamata Mafia capitale. È incredibile la sistematica mistificazione non solo dei giornalisti e dei penosi provocatori dell’“l’infetto quotidiano” ma degli storici che, interrogati sulla questione, mentono sul presente e mentono sul passato. Non è vero che il sottosegretario Claudio Durigon ha proposto di intitolare il parco di Latina, oggi dedicato a Falcone e Borsellino, ad Arnaldo Mussolini. Vero è il contrario, che Durigon ha semplicemente proposto il ripristino della originaria titolazione toponomastica del Parco al giornalista socialista Arnaldo, affermando: “Questa è la storia di Latina che qualcuno ha voluto anche cancellare con quel cambio di nome a quel nostro parco, che deve tornare a essere quel parco Mussolini che è sempre stato”.
Nessun dubbio che sia opportuno onorare Falcone e Borsellino ma altrettanto importante è non strumentalizzarne il nome per attribuirsi i loro meriti e crearsi il nome immotivato di città antimafia. È proprio di molte amministrazioni di sinistra che hanno finto di ignorare che Borsellino era vicino al Msi di Giorgio Almirante e hanno cercato di farsi scudo della gloria dei due magistrati e del loro sacrificio. La finta antimafia di Antonello Montante dovrebbe rappresentare un monito ancor più inquietante, dopo che una magistratura politicizzata e un sindaco depensante hanno umiliato Roma togliendole il nome in favore di Mafia capitale (cosa molto più grave della rivendicazione di Durigon), per attribuirsi patenti antimafia senza correre alcun pericolo e senza rischiare, protetti da potenti e inutili scorte, la vita, come hanno rischiato Falcone e Borsellino. In realtà per chi sa rispettare la storia le variazioni toponomastiche sono ispirate alla retorica dei nuovi poteri, e buona norma sarebbe non usare nomi sacri come quelli di Falcone e Borsellino per cambiare denominazione a vie, piazze, aeroporti, lungomari, parchi, in modo opportunistico e strumentale.
Durigon ha semplicemente fatto riferimento a regole e principi elementari di chi ha cosciente rispetto per la toponomastica storica. Quasi sempre i mutamenti non hanno buone ragioni ma oscuri interessi.
La nuova titolazione fu voluta dal sindaco di centro sinistra Damiano Colletta in tempi molto recenti, il 19 luglio del 2017, con l’immancabile inaugurazione alla presenza della retoricissima Presidente della Camera, Laura Boldrini. Un abuso storico colpevolmente ignorato da storici come Mauro Canali che dimenticano che il Parco Comunale era stato dedicato ad Arnaldo Mussolini. Toccherà ora a Draghi ricordarlo, per rispondere a chi gli chiede le dimissioni di Durigon. Si possono leggere, in questa surriscaldata polemica estiva, osservazioni del genere: “Arnaldo in pubblico era un moralista tutto casa e chiesa ma ha avuto per anni un amante a cui comprò anche degli appartamenti”. È una considerazione del sensibile storico Canali. Che dire allora del fascistissimo Montanelli (uomo di destra amato da Marco Travaglio) che condivise la sua esistenza con una moglie ufficiale, a Roma, Collette Rosselli, e un’amante seminascosta, a Milano, Marisa Rivolta.
È quest’ultima che parlando dei loro soggiorni a Cortina afferma: “Ci eravamo conosciuti là, dove andavamo entrambi in vacanza. Abbiamo fatto molte passeggiate per i monti con altri amici, compresa la compagna di lui, Colette Rosselli, prima che iniziasse il nostro amore”.
Come giudicherà il rigorosissimo Canali il direttore Indro Montanelli, collega di idee e di vita dissolute di Arnaldo? Ancora, il richiamo di Canali al delitto Matteotti coinvolge Arnaldo, giornalista, in rapporti con gli esecutori del crimine che non sono mai stati dimostrati. Come fondatamente indica Giulia Albanese, Arnaldo “non fu esclusivamente un fedele seguace del fratello, malgrado questa rappresentazione sia a lungo prevalsa, anche perché fortemente suffragata da Arnaldo stesso. Negli scritti e nella corrispondenza emerge in realtà una certa sua autonomia di posizioni, come quando gli fu proposta la presidenza della Provincia di Forlì, un incarico che il fratello gli ingiunse, senza successo né conseguenze, di rifiutare”. Ma nella vita di Arnaldo, a partire dal 1928, iniziarono tempi sfortunati.
Dapprima, nel maggio, fu vittima con la moglie di un incidente d’auto tra Cesena e Forlì. A ottobre fu diagnosticata una grave malattia al figlio, Sandro Italico, che morì nell’agosto 1930, a soli vent’anni. Arnaldo gli dedicò, subito dopo la morte, un volume di ricordi e riflessioni, Il libro di Sandro (Milano 1930), uno scritto pervaso da un anelito profondamente religioso, al punto che il figlio viene rappresentato con l’immagine di un santo in terra. Con la perdita del figlio sembrò svanire – secondo quanto affermarono molti dei suoi amici – anche la voglia di vivere del padre. Alcuni suoi collaboratori raccontarono infatti che qualche giorno prima di morire, dopo aver avuto una piccola crisi cardiaca, Mussolini raccontò di aver sentito la morte vicina e di averla aspettata con gioia. Il 21 dicembre 1931 morì in seguito a un infarto”.
Inaccettabile la fantasiosa ricostruzione del serenissimo Canali relativa a tangenti (termine invalso nell’uso con tangentopoli) che sarebbero arrivate ad Arnaldo, e furono in realtà finanziamenti per “Il popolo d’Italia” da parte di una banca americana. Singolare che lo storico scriva di questo sul giornale che ha preso due milioni e mezzo di euro da UniCredit, finanziamento assistito del Fondo centrale di Garanzia pari al 90% dell’importo, a sessanta mesi. Soldi garantiti dallo Stato dopo l’invocazione dell’amico Giuseppe Conte che chiese alle banche “un atto d’amore per l’Italia, uno sforzo per erogare subito liquidità alle imprese”.
Dunque, per ricostruire correttamente la storia, Durigon non ha chiesto di sostituire i venerati nomi di Falcone e Borsellino con quello vituperato di Arnaldo Mussolini, ma il contrario: di restituire ad Arnaldo ciò che gli era stato tolto per ragioni politiche. Nulla di scandaloso. Anche perché sarebbe stato sufficiente e più corretto anche per la memoria dei due eroi, dedicare loro un altro spazio anche più importante, e senza nome, della città di Latina. Cadendo dall’alto, per loro, ogni luogo è proprio, senza cancellare la Storia. Onore e non prepotenza. Per quanto riguarda Arnaldo non si possono attribuire a lui le responsabilità e le colpe del fratello. Sono stati fascisti anche i giornalisti Indro Montanelli e Giorgio Bocca, del quale si conoscono tristi dichiarazioni antisemite. Ma su di loro è caduto il perdono della storia con la conseguente celebrazione.
A un amico di Montanelli, Marcello Staglieno, si deve un testo importante e documentato, che assolve il non colpevole: Arnaldo e Benito. Due fratelli.
Il tenore degli attacchi a Durigon, gli insulti e le menzogne sono vere e proprie espressioni di squadrismo fascista. E ,come Mussolini trovò sostegno nel Popolo d’Italia, i nuovi fascisti hanno il loro manganello nell’”Infetto quotidiano”. La storia si ripete. Ma lasciate in pace Arnaldo, vittima di ipocriti.
Vittorio Sgarbi, 16 agosto 2021