Cultura, tv e spettacoli

Piccoli Putin crescono in Italia

L’Occidente metto al bando i media russi. Sala caccia il direttore della Scala filo-Putin. E censurano Dostoevskij

È ufficiale: l’Occidente sta impazzendo. La differenza che dovrebbe esistere tra una democrazia liberale e un’autarchia, è la libertà di discussione e di opinione. Anche quella più urticante. Si può ancora discutere, ad esempio, sui limiti della Nato in questa vicenda? Si può ancora discutere dell’opportunità di inviare armi ai civili ucraini? Si possono ancora leggere i media russi, o si tratta di intelligenza con il nemico? Badate bene, chi scrive accetta semplicemente che si possano fare queste domande, non le risposte implicite che alcuni critici dell’Occidente danno. Riteniamo, per chiarire gli equivoci, che la peggiore leadership europea non sia neanche paragonabile alla migliore autarchia russa. Però dobbiamo evitare di assomigliargli. Con il Covid abbiamo limitato molte libertà civili: speriamo di non averci preso gusto.

Possiamo contestare Putin perché arresta i manifestanti, solo se permettiamo di manifestare a chiunque, nei limiti stabiliti dalla legge. Possiamo contestare fieramente Putin e il suo regime solo se rivendichiamo le nostre libertà. Invece abbiamo cacciato il direttore d’orchestra della Scala, Valery Gergiev, colpevole di essere amico di Putin e contrario ad abiurare il proprio Stato. E adesso ce la prendiamo pure coi russi in quanto tali, anche se morti, anche se giganti della cultura mondiale.

Lo denuncia in questo video lo scrittore Paolo Nori, che ieri si è visto cancellare il suo corso su Dostoevskij all’Università Bicocca di Milano per evitare “tensioni”. Ripeto: Dostoevskij può provocare “tensioni”. Vi è chiara la pazzia? La Bicocca dopo le polemiche ha ritrattato e il corso si farà, anche se Nori – giustamente – non è ancora certo di partecipare. Perché qui il punto non sono tanto le scuse, ma il fatto che un’Università – in teoria culla della ragione – possa anche soltanto immaginare di censurare uno scrittore perché nato a Mosca e morto a San Pietroburgo. Non è che se Putin invade l’Ucraina questo ci autorizza a diventare improvvisamente russofobi. Volete chiedere a Dostoevskij di prendere le distanze da Putin? Andate a bussargli nella tomba? Oppure pensate di poter mettere all’indice tutti gli autori russi con un Dpcm? “Arcipelago Gulag” sfuggì alla censura del KGB: che facciamo, ci mettiamo noi, 50 anni dopo, a boicottarlo perché l’ha scritto un russo e può provocare “tensioni”?

La verità è che l’isteria collettiva occidentale sta diventando un problema serio. La damnatio memoriae contro i russi segue lo stesso spartito della cancel culture. Identica latitudine di idiozia e violenza. Una sorta di maccartismo all’ennesima potenza, che peraltro colpisce chiunque osi fare analisi un tantino lontane dal ritornello unico dei media. Ricordate cosa accadde col coronavirus? Ecco. Applicano lo stesso metodo alla vicenda russa: Marc Innaro, corrispondente da Mosca, osa criticare l’approccio della Nato ed ecco che finisce tempo zero sul paribolo. Qualcuno, non si è capito ancora chi, ha pure provato a chiedere a Dario Nardella (ne dà conto lui sul suo profilo Twitter) “di buttare giù la statua di Dostoevskij a Firenze”. Piccoli Putin crescono. E non se ne rendono conto.

Nicola Porro, 2 marzo 2022