Negli ultimi giorni si è parlato tanto della famosa pillola anti-covid di Merck molnupiravir, autorizzata dall’Agenzia italiana del farmaco Aifa, e dell’antivirale remdesivir. I due farmaci sono destinati a pazienti non ospedalizzati con sintomi lievi e con condizioni cliniche concomitanti che rappresentino specifici fattori di rischio per lo sviluppo di una forma grave.
Il nuovo farmaco Molnupiravir
Per quanto riguarda il molnupiravir, si tratta di un antivirale orale che agisce interferendo con la capacità del virus di replicarsi. È quindi stato progettato per introdurre errori nel codice genetico del virus, impedendone la duplicazione e riducendo quindi il rischio di provocare malattie gravi. Ma la cosa strabiliante è che secondo gli esperti, dovrebbe essere efficace su tutte le varianti. Molnupiravir è il primo farmaco creato per combattere la pandemia. La sua efficacia però, che all’inizio era stata data al 50%, è stata successivamente ridimensionata al 30% al punto che la Francia, che ne aveva già acquistati 50 mila cicli, è tornata sui suoi passi e ha rinunciato al farmaco.
Cosa è il Remdesivir
Invece, il remdesivir è riservato al solo ambito ospedaliero, poiché va somministrato per via endovenosa da personale sanitario specializzato. Nel nostro Paese si trova all’interno di una specialità medicinale avente nome commerciale Veklury. Con un comunicato stampa, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) fa sapere che la sua Commissione Tecnico Scientifica (CTS), in data 22 dicembre 2021, ha autorizzato l’uso del remdesivir per “il trattamento di pazienti non ospedalizzati per Covid-19 con malattia lieve-moderata di recente insorgenza e con condizioni cliniche concomitanti che rappresentino specifici fattori di rischio per lo sviluppo di Covid-19 grave”.
A marzo, infine, dovrebbe avviarsi la distribuzione del secondo antivirale autorizzato dall’Agenzia Europea del Farmaco (EMA), il Paxlovid brevettato da Pfizer, che agisce e si assume in modo del tutto simile alla pillola Merck ma, secondo i test più recenti effettuati dall’azienda, ha un’efficacia superiore, intorno all’89%.
Ma esistono altre cure possibili?
È possibile utilizzare gli anticorpi monoclonali che vanno somministrati nelle prime fasi della malattia, per via endovenosa, e sono indicati in particolare per i pazienti a rischio di forme gravi (cardiopatici, diabetici, ipertesi, soggetti fragili in generale). In Italia, al 13 dicembre, erano in tutto 21.055 i pazienti Covid che avevano già ricevuto cure con anticorpi monoclonali. Attualmente gli anticorpi monoclonali che hanno ricevuto il via libera dall’Aifa sono il mix bamlanivimab e etesevimab (Eli-Lilly), casirivimab e imdevimab (Regeneron/Roche) e sotrovimab di GlaxoSmithKline. L’Ema ha raccomandato l’autorizzazione anche dello Xevudy (Gsk), indicato per il trattamento della malattia in adulti e adolescenti sopra i 12 anni (e con un peso di almeno 40 chilogrammi), che non richiedono ossigeno supplementare ma che rischiano che la malattia diventi grave.
Ovviamente ad aggiungersi a questa lista incompleta c’è il vaccino che veniva proposto come una soluzione universale per tornare alla normale attività sociale. A distanza di quasi due anni, nonostante la presenza di varie cure ed il vaccino, continuano ad imporre restrizioni della libertà in nome dell’emergenza sanitaria. Con l’arrivo della pillola anti-covid si tornerà alla normalità? Non ci resta che attendere.
Carlo Toto, 5 gennaio 2022