Alla voce “Piano Mattei” nel sito del Ministero dell’Università e della Ricerca si legge: “Il Piano Mattei per l’Africa è il progetto strategico di diplomazia, cooperazione allo sviluppo e investimento dell’Italia per rafforzare e rinnovare i legami con il continente. Il Piano prevede sia lo sviluppo di nuovi progetti che il sostegno attivo ad iniziative già in corso, condividendo con gli Stati africani le fasi di elaborazione, definizione e attuazione, con l’obiettivo di portare un effettivo valore aggiunto alla popolazione locale.
Il governo ha individuato per la prima fase una serie di Paesi pilota (Egitto, Tunisia, Algeria, Marocco, Costa d’Avorio, Mozambico, Repubblica del Congo, Etiopia e Kenya) per azioni concrete e di pronta attuazione lungo sei settori di intervento: sanità, istruzione e formazione, agricoltura, acqua, energia ed infrastrutture. Inoltre, potranno essere sviluppate iniziative anche in altri ambiti, a partire dal settore cultura e dello sport”.
In linea di principio è bene fare in modo che i nuovi assetti di cooperazione siano volti a rafforzare con l’Africa (e non solo) i legami e le influenze delle democrazie occidentali, per poter stabilizzare quei paesi, evitando che finiscano sotto l’influenza di regimi che democratici non sono, e le cui mire espansionistiche non puntano propriamente ad uno sviluppo equilibrato e democratico. Governi e paesi guidati da ideologie stataliste e illiberali ragionevolmente non possono portare allo sviluppo di governi democratici in casa altrui.
Il nome di Mattei però non evoca posizioni troppo chiare in merito a quale strada seguire. Scriveva, nel lontano 1957 con la consueta lucidità di analisi, Sergio Ricossa: “L’impero Eni ha una capitale, Metanopoli; una politica economica, ovviamente; e una politica estera, meno ovviamente. Per esempio, appoggia l’Algeria contro la Francia, l’Egitto contro la Francia e l’Inghilterra, che vogliono riprendersi il canale di Suez. Mattei è un nazionalista arrabbiato, essendo lui un imperialista odia l’imperialismo americano, ma non quello islamico. Gli fanno gola gli idrocarburi islamici, e vorrebbe che a controllarli non fossero Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, bensì l’Italia. Megalomania di tipo mussoliniano, che seduce i suoi numerosi seguaci di destra e soprattutto di sinistra, democristiani e non democristiani. Ha molti numi tutelari: ha perso Vanoni, defunto, ma gli rimane niente meno che il capo dello Stato, Gronchi. Come Mussolini, è un grande attore: celebri sono le sue arrabbiature a freddo, recitate. Valletta lo ammira e lo teme, gli pare troppo rischioso l’eccesso di anti-americanismo” (Come si manda in rovina un Paese – Rizzoli 1995).
Un piano Mattei quindi, ma non proprio “alla Mattei”, che non vada cioè in direzioni anti-occidentali, che non lasci troppa parte dell’Africa in balia di paesi governati da regimi e ideologie anti-capitalistiche e anti-mercato. Il grande storico dell’economia Carlo M. Cipolla ricordava come nelle rivoluzioni industriali che si sono attuate nelle aree cosiddette sottosviluppate, lo Stato ha sempre finito per giocare un ruolo preponderante, e spesso, come in certe società africane, l’esercito si è presentato come l’unica forza organizzata e unico possibile interlocutore.
Da ciò è spesso dipesa la creazione di apparati burocratici corrotti e per lo più specializzati nel gestire e nello spartirsi le enormi risorse internazionali stanziate per la cooperazione. Ben vengano quindi i piani di cooperazione allo sviluppo, ma forse più che un “Piano Mattei” servirebbero tanti “piani Milei” per sviluppare le economie di paesi da troppo tempo ingessati in piani costosi e infruttuosi e spesso in mano a regimi corrotti.
Fabrizio Bonali, 27 luglio 2024
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