Quasi all’improvviso l’Unione europea si trova a misurarsi con la politica internazionale. Una serie di eventi segna la novità: il Trattato di Aquisgrana fra Germania e Francia che focalizza i temi della difesa europea sollevati da Trump con toni bruschi (stanziamenti insufficienti); le turbolenze dell’Africa, continente che le potenze ex coloniali hanno, secondo i casi, o rimosso o continuato – sotto vincoli ipocriti – a gestire come ai vecchi tempi e che ora si scopre alle origini di movimenti migratori in grado di destabilizzare l’Europa; il cambio di prospettiva degli Stati Uniti che mettono in cima alla loro agenda strategica il contrasto all’ascesa cinese (con annessa crescente attenzione ai rapporti di forza nel Pacifico) e poi la ricostituzione di un ordine amico nell’America Latina lasciando in secondo piano l’Europa e anche il Medio Oriente.
L’Ue, consapevole del potenziale di scontro che ha la politica internazionale, ha sempre cercato di tenerla fuori dal proprio recinto istituzionale per lasciarla ai singoli Stati e concentrarsi sull’integrazione economica. I fantasmi che l’Unione ha scelto finora come propri ministri degli Esteri (Ashton, Mogherini) ne danno buona testimonianza. Oggi, però, la tattica della rimozione non funziona più: l’ordine mondiale – dopo la fine della guerra fredda e del predominio unipolare degli Usa – è a pezzi, la comoda tutela americana (sicurezza a prezzi di saldo) è smantellata da un decennio di enormi avanzi commerciali tedeschi (in larga misura pagati proprio dagli Stati Uniti), la crescente pressione di Cina e Russia, che suscita in Europa sentimenti ambivalenti, chiama a elaborare una linea di condotta coordinata.
Le risposte sono deboli e contraddittorie. Aquisgrana, con la promessa di un’azione comune nel settore difesa tra Francia (potenza nucleare) e Germania (Stato vincolato dalla storia nelle sue proiezioni militari), ha non solo ricadute industriali, rilevanti soprattutto dopo la Brexit, ma anche controverse implicazioni politiche: sovrapposizioni con la Nato, antagonismi con gli Usa che generano malessere a Est, diffidenza a Sud. Sembra un altro contributo alla divaricazione dell’Europa. In Africa la politica predatoria della Francia, che punta all’accumulo di preziose materie prime grazie al controllo di dittatori cleptocrati, alimenta in un gran numero di Stati disperazione e fuga (ma questo avviene anche in ex colonie britanniche e italiane lasciate in abbandono) creando problemi nel Mediterraneo a Italia e Spagna. In America Latina e in Medio Oriente il cambio di passo degli Stati Uniti (riconquista da un lato, disimpegno dall’altro), innescato dalla minaccia cinese, lascia smarriti i leader del Vecchio continente che faticano a comprendere il nuovo corso.
Il guaio è che in Europa manca una riflessione strategica condivisa, gli interessi dei singoli Stati sono spesso in contrasto, le tensioni – per non dire il fallimento – dell’integrazione economica rendono ardua l’elaborazione di un comune quadro di riferimento. La politica è stata trascurata per troppo tempo nella folle illusione che la creazione di ricchezza (almeno finché c’è stata) potesse sostituirla: ora il vuoto che si è creato diventa distruttivo.
Antonio Pilati, 30 gennaio 2019