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Ponte sullo Stretto, l’anticorruzione prende una cantonata

L’Anac entra a gamba tesa contro il progetto sulla grande opera voluta da Matteo Salvini

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Dopo anni di attese, intoppi e false promesse sembrava essere proprio la volta buona. Ma quando meno te lo aspetti, ecco che arriva l’imprevisto che rischia di rovinare la festa. Nello specifico, il guastafeste in questione risponde al nome di Giuseppe Busia, presidente dell’Anac, il quale nelle ultime ore è entrato a gamba tesa sul governo su Codice degli appalti e Ponte sullo Stretto di Messina. In merito alla realizzazione del ponte che dovrebbe collegare Sicilia e Calabria, Busia ha esternato tutti i dubbi di Anac sulla bontà del decreto in un’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano.

“Il decreto evita la gara e vincola la parte pubblica a un contratto vecchio di dieci anni che non si può modificare – spiega il numero uno dell’autorità anticorruzione. Tutti i rischi vengono scaricati sulla parte pubblica, mentre dovrebbe accadere il contrario se di mezzo c’è un general contractor. Il problema peraltro è a monte: resuscitando il contratto per legge si mette in mano al privato una potentissima arma legale per far valere le sue ragioni nel contenzioso avviato contro lo Stato. Così aumenta il rischio di dover pagare ingenti somme se l’opera non si farà”, chiarisce Busia.

Per approfondire:

I punti su cui si concentrano le critiche di Anac sono pertanto lo “squilibrio nel rapporto tra il concedente pubblico e la parte privata, a danno del pubblico” e poi, ancora, l’anacronismo del decreto attuativo per la realizzazione del ponte basato su un “progetto elaborato oltre dieci anni fa”. Per l’autorità anticorruzione dunque il ponte sullo Stretto non s’ha da fare. Almeno con queste modalità. L’unico modo per realizzare l’opera sarebbe invece per Anac l’affidamento allo Stato, così da evitare, o perlomeno ridurre al minimo le truffe. Questa l’unica soluzione contemplata da Busia, l’unica via possibile da seguire per collegare Sicilia e Calabria.

Ma siamo proprio certi che sia quella giusta? È giusto che il nostro Paese debba necessariamente essere considerato truffaldino e alla mercé di impostori pronti solo a fottere lo Stato? Che l’immobilismo sia l’unica forma di legalità possibile, l’unico modo per scongiurare truffe e abusi. Tanti restano gli interrogativi da chiarire, una sola la certezza: l’Italia continua a restare schiava dei propri tabù e delle proprie paure, e probabilmente ad essere anacronistico non è il progetto del Ponte, bensì un modo di ragionare arcaico e supponente che da decenni ostacola il progresso e la crescita e rischia seriamente di lasciare al palo il nostro Paese.

Salvatore Di Bartolo, 10 giugno 2023