Ma la Banca Popolare di Bari era da salvare oppure no? Nel commento di molti di voi lettori ai miei ultimi articoli sul tema ed a quelli di molti altri colleghi ho notato una spaccatura di giudizio. C’è chi asserisce che, trattandosi di una banca, il tema dovrebbe essere gestito con le pinze, che le banche vanno salvate sempre e comunque, soprattutto per non creare un clima di sfiducia. Ma c’è anche chi invece dice di “no”, che non sarebbe più il caso di salvare banchieri che hanno fatto male il loro lavoro. Io la penso come i secondi. Comprendo l’importanza del tema “risparmi”, ma oggi, in Italia, per la stragrande maggioranza dei casi si tratta pur sempre di imprese private e come tali dovrebbero essere trattate, a maggior ragione perché gestiscono i risparmi di migliaia di cittadini.
Del resto la legge tende ad allontanare amministratori di banche che finiscono sotto inchiesta anche per attività diverse da quelle relative alla normale gestione bancaria. Quello che contano sono i parametri di onorabilità, sono quelli che, se perduti, finiscono per incidere sulla fiducia dei risparmiatori. Proprio perché si chiama risparmio, non si può accettare che certi episodi possano reiterarsi nel tempo, che possano continuare. Sono questi colpi alla fiducia. La sfiducia in questo Paese nasce proprio dal fatto che nessuno paga mai per gli errori commessi, in malafede o buonafede che siano. E più sono grossi, gli errori, meno s’interviene.
Ecco perché dico no, perché a pagare poi sono sempre gli stessi i risparmiatori. I risparmiatori e molti dipendenti delle banche stesse che, in molti casi come questi sono abbandonati a se stessi. In che condizione si sarebbero ritrovati stamattina a confrontarsi con clienti impauriti se il decreto non fosse stato approvato? In che condizione si troveranno domani quando la banca sarà ristrutturata? Con che animo penseranno ai titoli azionari dell’istituto stesso che molti di loro avranno comperato immaginando di poter avere fortune diverse.
Era già accaduto. In occasione del decreto salva-banche di fine 2015, anche in occasione dei fallimenti delle due popolari venete, a pagare sono sempre e stati solo i risparmiatori che hanno visto entrare in risoluzione sia le azioni che le obbligazioni subordinate. Vedremo se accadrà lo stesso anche in questo caso? Per non parlare poi degli azionisti di Carige e MPS che hanno visto completamente azzerato il valore dei titoli azionari sottoscritti. Ecco perché dico no. Bisogna mettere un punto ed evitare che tutti si sentano in dovere di fare ciò che vogliono perché tanto poi c’è qualcuno che paga. Allora quel qualcuno perché non paga per tutte le altre aziende private che sono in difficoltà. E non sto parlando per forza di mega aziende, ma anche di quelle piccoline.
La scorsa settimana un imprenditore di Torino mi ha scritto annunciandomi che stava liquidando la sua piccola azienda. Burocrazia, fisco, lo stavano asfissiando, ma anche il mercato e scelte poco condivisibili avevano fatto il resto. Tre persone di segreteria sono state licenziate. I libri finiranno in tribunale, i fornitori faranno molta fatica a recuperare quanto spetta loro. Mi chiedo. Cos’ha di diverso questa piccola impresa del Torinese da Banca Popolare di Bari? Chi spiega a quell’imprenditore che ci sono due modi di gestire realtà analoghe? Ma queste azioni generano altre azioni e reazioni e finiscono per far nascere comportamenti che da illeciti diventano leciti. Insomma, il salvataggio ha un messaggio sottostante molto palese: “tu banchiere, fai pure ciò che vuoi della tua azienda, sei libero di sbagliare, che tanto poi c’è sempre qualcuno che ci mette la pezza”.
Quanto vi sentireste tranquilli a fare l’imprenditore in questo modo? Quante e quali scelte fareste a cuor leggero se non aveste di cui dovervi davvero preoccupare? Capite quale sia la stortura di questo messaggio? E così si va avanti, fino alla prossima puntata. Perché ce ne sarà ancora una prossima.