Ci sono dei ristoranti e dei ristoratori che rimarranno famosi nel tempo per un piatto particolare, per un accostamento ardito, mai sperimentato.
Puny era e resterà Puny per Luigi Miroli, e cioè Puny. «La differenza con gli altri ristoranti è una sola, una distinzione che nessuno potrà mai replicare, e si chiama Puny», dice Antonella Camerana, grande amica del più grande «trattore» di Portofino scomparso nella notte tra venerdì e sabato.
E chi, anche solo per una volta, si è seduto a uno di quei tavolini sulla piazzetta più famosa della Liguria, ha avuto la sensazione di essere speciale. Il ragioniere come il principe, l’armatore come il giornalista venivano tutti accolti come se fossero il migliore cliente. Fino a poche settimane fa.
Era lui che accoglieva, che consigliava, che raccontava. Le trofiette o le lasagne al pesto erano speciali, il salame di tonno una sua invenzione, e i pesci al sale che diventavano sempre una cerimonia erano «meravigliosi» come diceva lui, ma in fondo erano niente rispetto a Puny.
Abituati agli chef stellati (che palle) che ogni tanto si concedono ai tavoli con lo stesso atteggiamento compiaciuto e altezzoso di una star che subisce un bis, da Puny la celebrità era in mezzo a tutti.
Non si risparmiava. Sempre però con un passo indietro. Dava la sensazione che fosse un onore sfamare ogni commensale. Quando già tutti avevano le carte di credito, Puny, testardo, si opponeva. Voleva il contante: conto fiscale, ma frusciante per saldarlo.
Pochi anni fa ricevette la prenotazione (da Puny senza prenotazione non è possibile sedersi e non per un vezzo, ma perché il tavolo non c’è) del presidente mondiale dell’American Express. Appuntò sul librone blu a righe la prenotazione e si fece, non si sa bene come, recapitare d’urgenza la macchinetta da Genova. La usò una sola volta, per il presidentone, e poi via. Restituita.
A parte i sacramenti, c’era solo un tema che non si poteva toccare a Puny: Silvio Berlusconi. Nonostante Beppe Grillo e tanti altri politici si siano seduti in piazzetta da Puny, il Cavaliere è stato per lui sempre il numero uno.
Una volta, a chi scrive confessò: «Io ammiro Berlusconi e in qualche cosa cerco di imitarlo. Penso che chiunque si sieda a miei tavoli debba essere soddisfatto. Il cliente prima di tutto. E come il Cavaliere ho avuto tanta gente che mi ha remato contro, ma alla fine ho sempre vinto». I Berlusconi (oltre a Silvio, anche Pier Silvio e sua moglie Silvia Toffanin) forse sono stati per Puny gli unici clienti diversi da tutti gli altri.
Ha sempre difeso il Cavaliere anche nei momenti in cui l’opinione pubblica gli era meno favorevole. Giocava, sapendo che chi scrive lavora al Giornale, raccontando di tutti coloro che avevano repentinamente cambiato idea. Era un berlusconiano intransigente. Non di quelli che ti prendono da parte e dicono: «Però il Cavaliere…». Non c’era però.
Puny indossava sempre una camicia stirata e pulita. Ne aveva appese un certo numero nel retro del suo ristorante. Si muoveva in continuazione fra i tavoli. Si occupava personalmente di rompere la crosta di sale bollente che avvolgeva l’ultimo pescato. Sudava.
E il suo tovagliolo al braccio, era proverbiale. Il pomeriggio lo passava seduto, caso più unico che raro, ai suoi tavoli. Al massimo qualche battuta con Ugo che gestisce il bar in piazzetta. Sua moglie Vanna è la discrezione fatta persona, ha imparato a conoscere i fiori da Bianchi a Milano, e di Puny è sempre stata la discreta ombra.
A un certo punto della sua vita Puny decise con il suo grande amico Carlo Camerana di fare il giro del mondo. Puny dovette dirlo ai suoi clienti, Camerana all’Avvocato Agnelli: tornarono a Portofino dopo soltanto un mese e mezzo. Il piccolo club dei portofinesi definì la mitica avventura come il «giro del Monte»: poca roba. Ma togliere i due ragazzi da quella piazzetta era impossibile.
L’ultimo giro che ora sta facendo, sarà un po’ più lungo, ma come quello del Monte, non lo separerà mai da Portofino.
Nicola Porro, Il Giornale 15 ottobre 2017