L’ultima intervista rilasciata da Beppe Sala, sindaco di Milano, pubblicata su Repubblica, parte da alcune logiche riflessioni sullo stato attuale e futuro del centrosinistra italiano. Sala, con uno sguardo critico, non esita ad esprimere le sue perplessità riguardo alla funzionalità del “campo largo” e sulla difficoltà di trovare un punto di incontro tra le diverse anime politiche.
Il sindaco è convinto che Schlein&co avranno grosse difficoltà a vincere le elezioni senza la presenza di una componente centrista nella coalizione. Sul Campo Largo, Sala dice: “Guardi, in questo momento che esista o no, non è certamente in condizione di vincere e di governare il Paese”. Non solo per questioni numeriche, ma di convergenza di idee. Basti guardare al decreto “Salva-Milano” che ha scatenato un duro conflitto tra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico. “La vera questione è capire come si comporterà il Pd – dice – Ma al di là di questa questione bisogna sedersi e provare a fare un programma comune. Se ce la fai, bene, ma se non ce la fai credo sia logico dire: ognuno per sé. Ecco, non ho visto un tentativo serio di mettere insieme un programma comune. Certo, non basta una foto in cui si sta tutti insieme per far credere agli italiani che sia vero”.
Sala rimarca l’importanza di includere una visione liberal democratica all’interno dell’alleanza, per attrarre i voti dei modarati di sinistra: “Serve nell’alleanza una visione più liberal democratica che parli a una parte di elettorato che non vuole sentirsi di destra, ma che è spiazzato da una proposta troppo estrema”. Il problema è che in tanti ci hanno provato a federare i centrini, senza mai riuscirci. Vedi Matteo Renzi, che forse però per carattere non sarebbe i grado di federare neanche se stesso. Però neppure Carlo Calenda al momento non ha avuto fortuna: “Il mio pessimismo – dice Sala – nasce dal fatto che se non ci è riuscito Calenda che ci ha messo energia e i fondi che è riuscito a raccogliere, non vedo chi e come possa riuscirci”.
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Che fare, dunque? Sala finge di fare quello a cui non interessa (“Posto che per il parlamento si voterà a maggio del 2027 oggi mancano due anni e mezzo. Non mi sogno neppure di sottrarre tempo a Milano per occuparmi operativamente di tutto ciò”), ma non chiude la porta all’idea di diventare leader di quello che per ora è “il niente” ma in futuro chissà. Anzi: apre un portone. “Non dico che non potrà interessarmi, ma intanto bisogna cercare i compagni di viaggio. Guardi, io conosco Elly Schlein meglio di tanti altri e Schlein sa che è interesse del Pd favorire la nascita di quest’area liberal democratica. Ma il Pd ha bisogno di fare passi in avanti che garantiscano a quest’area, una volta nata, di non essere solo un cespuglietto di una sinistra molto spostata a sinistra”. Come a dire: non oggi, non a queste condizioni, ma io ci sono.
Tanto più che da qualche giorno si parla di Ernesto Maria Ruffini, direttore dell’Agenzia delle Entrate, come possibile federatore. Il diretto interessato smentisce, il che – in politica – vuol dire poco. Mentre in Parlamento c’è chi ci spera. Non Sala, che lo considera “una persona di grandissimo valore”, decisamente “bravissimo” ma “pensare che possa avere la forza per fare il leader di quest’area significa volergli male”. Che sta un po’ a significare: prima di lui, ci sono io. “La questione non è trovare il federatore, la questione è trovare i compagni di viaggio, le persone che credono in questi valori e che possano scambiarsi la guida in una forma di governance che ricordi quella della Dc. I partiti personali, non credo attraggano più nessuno