Tutto si può dire di Repubblica, ma non che la sua fedeltà al partito padronale sia a prova di cane. Tanto affonda nel misero il Pd, tanto il giornale dei ragazzi Agnelli e di Molinari si adegua, scorrendo su strade parallele di squallore. Squallido è il segretario perdente per vocazione, Letta, quando esprime solidarietà a Ignazio La Russa, una solidarietà talmente dalla coda di paglia che il fruscio è come il boato di un terremoto, dopo che per ore altri esponenti del partito, i giornalisti embedded, i conduttori organici, in molti sensi, i nani, le puttane, le influencer a tariffa lo hanno insultato, diffamato, minacciato in quanto La Russa: non altro, giusto il La-Russa-in-sé, “Ignazio Benito”. Sì che in breve non possono non grandinare le minacce serie, le stelle a 5 punte, gli striscioni col nome “appeso”, scritto alla rovescia, i proclami di stampo terroristico. A quel punto, Letta si riscuote e rivolge solidarietà perchè queste cose non si fanno, seppure La Russa, essendo La Russa, le merita.
E squallido è il mezzo giornale – l’altro mezzo è la Stampa – che trova modo di notiziare come segue: “Alla Garbatella per La Russa una stella a 5 punte che potrebbe ricordare quella delle Brigate Rosse”. Come, potrebbe? Cazzo, ci è cresciuta una storicizzazione iconografica su quel simbolo, inequivocabile, inconfondibile al punto che quando il controverso Mario Moretti, sospetta spia triplogiochista, ne disegnò una a 6, chiarissima avance/allusione ai servizi israeliani, i compagni gli chiesero se fosse impazzito o cosa si fosse messo in testa (Moretti, tanto per cambiare, non riuscì ad essere convincente: “Va beh, mi sarò sbagliato”).
Cinquant’anni dopo, siamo ancora a svicolare sulle “sedicenti” Brigate Rosse, sui compagni che sbagliano, ma neanche poi tanto? Bisogna sapere che in un grande giornale, per quanto decaduto, anzi decomposto, certe cose non possono succedere: semplicemente non possono. C’è chi scrive, chi corregge le bozze, chi pubblica, chi controlla, un esercito. Per cui un obbrobrio di questo genere dev’essere per forza voluto: l’unica alternativa è che il livello a Repubblica sia talmente franato da rasentare, senza raggiungerlo, quello di qualche ciclostilato scolastico degli anni ’70. Tanto più che la firma di simili carinerie non lascia margini di incertezza, si siglano “Antifà”. E una tale leggerezza fruscia di una paglia ancor più tossica, se possibile, di quella del perdente del Politburo piddino.
Inutile indulgere, una volta di più, al giochetto del “cosa sarebbe successo se” a ricevere minacce fosse stata una Boldrini: nel caso di La Russa e Fontana, la faccenda viene colta con una sorta di sconcia allegria. Ma c’è poco da ridere, non solo in senso militante ma soprattutto in quello generale: il paese è già corroso, dilaniato da tensioni, ha 30 mesi di regime concentrazionario sulle spalle, ha la prospettiva di inverni lugubri, è diviso, preoccupato, arrabbiato, spaventato. Ed è poroso alle provocazioni, alle infiltrazioni (anche straniere), alle estremizzazioni e a tutto quello che ne consegue. I Servizi sanno, come lo sa Giorgia Meloni, come lo sanno lorsignori tutti, che questa è la classica situazione ad alto rischio per cui basta un cerino ad incendiare la prateria: è questo che si vuole? È giocare allo sfascio, al tanto peggio?
Da parte sua Ignazio La Russa, che di certe dinamiche ha memoria, ha fatto non bene ma benissimo a ridimensionare le minacce pubblicamente, dando una dimostrazione di senso di responsabilità; grottesco, invece, che a soffiare sul fuoco siano proprio quelli che un giorno sì e l’altro pure accusano gli avversari di essere un pericolo per la democrazia perché hanno vinto loro, perché sono chi sono, perché non esaltano il gender, la manipolazione ormonale o mentale dei bambini, l’utero postal market, pregano la Madonna o fanno “troppi” figli. Quella fuori contesto, e di testa, di Rula Jebreal è riuscita ad incolpare “le destre fasciste” pure degli sbrocchi egocentrici della pallavolista Egonu, che lamenta il razzismo nei suoi confronti senza portare lo straccio di una prova mentre è notoria l’insofferenza suscitata nello spogliatoio in alcune compagne che non reggono più le sue pose, il suo divismo, il suo vittimismo. Niente, colpa di Meloni pure se ci siamo giocati la medaglia d’oro.
Quanto a Letta, considera, ipse dixit, un pericolo e una provocazione che il centrodestra abbia nominato due capi delle Camere di destra anziché Zan e Schlein. Vizio duro a morire hanno perso ma devono ugualmente comandare, decidere, imporsi. Del resto, non hanno mai vinto ma decidevano loro. Adesso che è successo? Solo perché le elezioni li hanno castigati? E da quando in qua il volere della feccia, della plebe conta qualcosa? Ma guardateli, quanto fanno schifo questi del nuovo potere. Ma sì, diciamo pure, per salvare la faccia, che non si fa, ma questi usurpatori le minacce di morte le meritano e come, quelle con le stelle a 5 punte che potrebbero evocare, ma non è sicuro, i formidabili anni, dove tanti compagni sbagliavano, ma solo mira, se non riuscivano ad abbattere “il simbolo” di turno.
Max Del Papa, 16 ottobre 2022