Dal fiabesco red carpet di Hollywood alle buche di Roma. Il sindaco della Capitale in love, dopo la fuga d’amore in California, non ha fatto in tempo a togliersi lo smoking dei Golden Globes che, rimesso piede a Roma, è tornato alla realtà. Gli sta infatti deflagrando in mano il caos per i preparativi dell’Anno Santo del 2025. Vaticano, Palazzo Chigi, ma soprattutto il Mef hanno deciso che bisogna cambiare passo. E nel mirino è finito soprattutto Marco Sangiorgio, direttore generale di Giubileo 2025, un omino tanto ordinato quanto, di fatto, inconcludente.
Giubileo 2000, confronto impietoso
All’inizio della sua sfortunata avventura, le opere del Giubileo si dividevano in «essenziali e indifferibili» ed in «essenziali», ora tutti i piani sono stati rimodulati. Come, ad esempio, la tramvia Termini-Vaticano-Aurelio opera che da «essenziale e indifferibile» è diventata differibilissima, a data da destinarsi. Peccato, poteva essere un valore aggiunto anche per i romani stessi e «rendere loro la vita più facile», da ciò che sbandierava Gualtieri nel suo programma elettorale. Il confronto con il Giubileo del 2000 è impietoso: non c’è un Papa carismatico come Karol Wojtyla, tantomeno una macchina organizzativa come quella di Rutelli e Zanda, che era partita decisamente prima del grande evento. Per non parlare della programmazione internet e digitale di informazione e prenotazione per i previsti 35 milioni di visitatori provenienti da tutto il mondo che è ancora a zero: da un lato, urge pianificare in anticipo da remoto gli spostamenti dei pellegrini, dall’altro, una volta giunti a Roma, serve una mappa interattiva costantemente aggiornata per la logistica, i servizi essenziali, la mobilità.
Il piano per correre ai ripari
Per correre ai ripari, Vaticano, Mef e Palazzo Chigi stanno pensando a due figure di primo piano come monsignor Liberio Andreatta, da sempre il vero Papa dell’accoglienza, e Giancarlo Cremonesi, storico presidente della Camera di commercio capitolina. Chissà come ci verrà consegnata per il 2025 la città caput mundi che, più di duemila anni fa, l’imperatore Augusto ereditò di mattoni e che si gloriò di restituire di marmo ai romani. Ma, dopo aver assegnato i Golden Globe Award, anche in Italia è tempo di nominations. In ballo, in attesa del big bang in Cassa depositi e prestiti, dove la Meloni vuole confermare Dario Scannapieco mentre Giorgetti punta sul più esperto Antonio Turicchi, ci sono le nomine nel mondo della cultura: la prestigiosa direzione della Biennale di Venezia va a Giafar al-Siqilli, al secolo Pietrangelo Buttafuoco, intellettuale di profonda cultura, stimato sia a destra che a sinistra, che succede a Roberto Cicutto, targato Franceschini.
La partita delle nomine
Non è invece sicuro di conquistare il posto di Alberto Barbera – direttore della Mostra internazionale del cinema di Venezia – il già direttore della cineteca di Bologna, Gian Luca Farinelli, attualmente alla Fondazione Cinema per Roma, a suo tempo «voluto» da Gualtieri vicinissimo a Franceschini. Oggi i rumors lo posizionano sponsorizzato invece dal loquace fratello d’Italia, Federico Mollicone che fa le veci del padrone di casa e si affanna anche lui per un posto al sole e per emergere tra il sottosgretario Borgonzoni e il ministro Sangiuliano. Farinelli non ci ha messo molto a riposizionarsi a destra e a dire «ciaone» al sindaco di Roma e all’ex ministro dei Beni Culturali. Altro prezzemolino a sbracciarsi per un posto al sole pur di arrivare in laguna è Antonio Monda: andato via dalla direzione della «festa di Roma», aveva annunciato di essere stato contattato per dirigere grandi festival americani, si è dovuto poi accontentare di proseguire la collaborazione con Repubblica e i suoi lavoretti pregressi. Ora sta facendo la spola tra Roma e New York, dove abita, per tentare la corsa veneziana, a fine estate è rientrato in fretta e furia dagli States nella Capitale pur di partecipare alla kermesse di Atreju, dopo aver fatto di tutto per farsi invitare.
Anche per il Teatro di Roma, dopo la fine del commissariamento, si aspetta entro questo mese il nuovo direttore. I curricula pervenuti sono ben 42, ma anche qui l’onnipresente Mollicone vorrebbe piazzare il non famoso regista teatrale Luca De Fusco, ora al Bellini di Catania. A seguire, in primavera ci sarà la scadenza della governance del poco valorizzato Auditorium Parco della Musica, di cui si leggono automeraviglie sulle pagine dei giornali per bocca del suo Ad Daniele Pitteri. In realtà, il mortificato polo culturale disegnato da Renzo Piano, oggi si presenta come una landa desolata e buia, con allestimenti trasandati, anche nei giorni di festa, servizi scadenti e un cartellone che è la fotocopia dell’anno precedente. Le produzioni targate Auditorium sono pochissime e l’offerta culturale è inadeguata se paragonata a qualsiasi capitale europea. Quello che dovrebbe essere il fiore all’occhiello della capitale d’Italia, oggi va completamente ripensato, facendo tabula rasa del pregresso.
Fondazione Cinema, aria di crisi
E, sempre durante le vacanze natalizie, chi si è imbattuto passeggiando a Villa Borghese nella «nuova» Casa del Cinema, ha trovato anche qui una location semideserta e priva di anima. Dopo un’apertura in pompa magna in primavera, pare che ora le sale si popolino solo nelle serate a invito, portando reddito nelle casse della Fondazione Cinema, che ne ha preso la gestione, più per l’utilizzo dei servizi igienici a pagamento che per i pochi biglietti degli spettatori paganti: l’ennesima struttura pubblica con costi che superano di gran lunga i ricavi, come d’altronde la Festa del Cinema, che ormai si sostiene solo grazie ai fondi pubblici dei cittadini che coprono oltre il 70% del budget e sono destinati ad aumentare dopo le ultime richieste della struttura al Mic a causa del triplicarsi delle spese e di una diminuzione degli sponsor (in particolare Bnl) a spese dei cittadini. Quest’anno l’Oscar del trash non ce lo toglie proprio nessuno.
Luigi Bisignani per Il Tempo 14 gennaio 2023