No, gli italiani non meritano un’ora buia così. Come quella nella serata di Palazzo Madama, quando un intero emiciclo, il governo, gli osservatori di carta stampata e tv, i telespettatori, i frequentatori dei social, hanno congelato gli sguardi attorno all’esito del voto del senatore Lello Ciampolillo.
Divenuto, in brevissimi minuti, catalizzatore delle attenzioni nazionalpopolari, e del tastare forsennato su Google per capire chi fosse, da dove venisse, quali fossero le sue idee. Nessuna lapidazione, per carità. Perché in fin dei conti della biografia di Ciampolillo interessa ben poco. Se non il suo essere metafora finale di quel che è divenuta l’Italia in questi ultimi 10-15 giorni. Un Paese appeso alle comparse, al vorticare di pallottolieri e totonomi attorno a parlamentari di cui si ignorava l’esistenza o giù di lì, vecchie glorie resuscitate come geyser da epoche sbiadite, ricostruzioni ove il gossip si intreccia con l’esercizio dell’accordo politico. È il parlamentarismo, bellezza. Sì, ma è anche sconfortante segno dei tempi.
Bankitalia, dati allarmanti
Mentre alle Camere si consumava l’ennesimo canto fuori metrica della Conteide, quest’epica del trasformismo disinvolto figlia, in parte, del coma dei partiti e del seppellimento delle culture politiche, intorno continuava e continua l’eruzione della sofferenza. Bankitalia fotografa come i redditi delle famiglie abbiano subito il peggior crollo da vent’anni a questa parte. L’Ance solleva un gravoso allarme sul ritardo nei bandi per le opere pubbliche. La Cgia di Mestre osserva che il tasso di copertura dei ristori è del 7% rispetto alla perdita di incassi delle aziende.
Il Censis quantifica a quasi mezzo milione la cifra delle piccole imprese che potrebbero chiudere entro il 2021. E accanto all’economia, anche l’altro pilastro di garanzia di convivenza civile, ossia il sistema educativo, che già non stava messo granché bene, rischia di crollare definitivamente forgiando una generazione di sotto-istruiti. Ovviamente, mentre la pandemia morde ancora e la campagna vaccinale non sta andando come dovrebbe.
Italia a rischio collasso
È un Paese, questo, che ha sempre trovato la propria forza collettiva nella sommatoria di tanti micro-eroismi quotidiani. Lo abbiamo visto nella maniera più dirompente con l’esplosione della pandemia, dove l’impegno sovrumano del personale sanitario ha contrastato lo tsunami dovuto, in parte, anche ai ritardi di un governo che invece di predisporre una risposta efficace professava l’abbraccio a un cinese. Lo vediamo, da anni, nell’impegno quotidiano delle imprese, professionisti, partite Iva mai del tutto usciti dalla traversata del deserto del 2008 e che con sforzo hanno consentito, pur nella debolezza della politica che non è fenomeno di oggi, di mantenere in piedi una baracca dove la spesa assistenziale è cresciuta del 4,3% dall’anno della grande crisi fino al Covid. Ora, con le restrizioni, i limiti, l’impossibilità di lavorare e lo spettacolo indecoroso del governo, si rischia il collasso di tutto.
L’attenzione catalizzata dai numeri magici in Senato (161 impossibile, no, forse 153, alla fine 156) ha reso residuale la palese mancanza di visione programmatica di Conte, scandita da due interventi parlamentati segnati dall’obiettivo di attirare transfughi e non di dare una direzione al Paese. Che questa fosse latitante, peraltro, si comprendeva già leggendo il testo del Recovery plan, una sommatoria di buone intenzioni segnata dalla mancanza di visione, soprattutto dall’omissione del nodo dei nodi, ossia la transizione demografica.
Questioni gigantesche, vere, che chiamano in causa la capillarità del tessuto sociale italiano, strada per strada, casa per casa, con le sue famiglie, le sue tradizioni di investimento, e su cui volteggiano le arpie affezionate alla patrimoniale.
Un passaggio strettissimo, decisivo, dove serve qualità vera, servono protagonisti veri e serve pensiero lungo. Anzi, serve innanzitutto un pensiero.
Pietro De Leo, 20 gennaio 2021