Il fuoco invisibile (Daniele Rielli)

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il fuoco invisibile (daniele rielli)

I lettori della nostra rubrichetta liberale sanno che in questo periodo dell’anno devono fare i conti con la lettura dei libri candidati al premio Strega. Una dozzina di libri che in genere sottopongono a un certo affaticamento chi li legge. Nulla in confronto alla frustrazione di chi invece li compra. Ovviamente ci sono delle lodevoli eccezioni.

Nella dozzina di quest’anno mi è capitato per le mani il libro di Daniele Rielli, intitolato Il fuoco invisibile (Rizzoli). «Storia umana di un disastro naturale» è il sottotitolo. È un libro che vale davvero la pena di leggere. Si tratta di uno dei migliori esempi di giornalismo narrativo che mi sia capitato tra le mani da tempo. È la storia della Xylella, quel tremendo e incurabile batterio che ha distrutto migliaia di ettari di oliveti secolari in Puglia. Ma sarebbe meglio dire nel leccese. Bari e Lecce non sono la stessa cosa, e solo un pugliese sa bene la differenza. E nella tremenda storia della Xylella, c’è molto di questo campanilismo.

C’è il sapore di quelle terre, i pregiudizi contro la scienza di una millenaria cultura contadina, c’è il sindacalismo spinto che può tutto, c’è il pregiudizio del complotto di chi ci vuole male. Ma c’è anche il sapore triste di un paesaggio che andrà scomparendo e non per causa degli odiati fitofarmaci, non per il riscaldamento climatico, non per le attività industriali, non per la volontà avida di qualche speculatore intento a costruire qualcosa di alternativo, ma semplicemente perché non si è voluto fare ciò che si doveva fare: sradicare gli alberi malati per non permettere che la malattia, trasportata da un piccolo insetto, si diffondesse sempre più a nord e sempre più pericolosamente.

Quello di Rielli è un racconto di questa vicenda, poco romanzato, ma molto romantico. È una storia in cui i fatti veri si incrociano con il sangue dell’Italia contadina e meridionale. Mi è bastato arrivare a pagina 14 e leggere: «L’olio d’oliva da quando sono nato è sempre stato solo il nostro, un prezioso liquido verde-oro che era qualcosa di quanto più simile a un’identità, univa la famiglia diffusa e ci distingueva dai consumatori di olio di semi, per noi autentici eretici esclusi da un aspetto fondamentale del saper vivere, per tacere dell’iconoclastia massima, ovvero il burro, indiscusso simbolo di appartenenza alla genia dei barbari». Rielli racconta i fatti, mette in scena i personaggi, descrive i primi scienziati che subito scoprirono la malattia, quasi fossimo in un film di Csi, e testimonia gli errori della politica e degli intellettuali che non volevano credere e negavano. Ci si mette, come sempre in Italia, persino la magistratura e, come talvolta avviene, dalla parte sbagliata.

Come dice nelle prime pagine Rielli, questa è una lunga storia. Che conviene leggere. «E non finirà bene».

Nicola Porro per Il Giornale 26 maggio 2024

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