Mentre il sindaco di Milanistan, Al-Beppeh Salah, oppone fiera e vigorosa resistenza contro la statua dell’allattamento, che non è inclusiva (ma certo: sappiamo tutti che i neonati si allattano più giù, dal genitore B), a Milanistan succede quanto segue: una storiella minima, raccontata dalla ex ginnasta oggi influencer Carlotta Ferlito, una per la verità non irresistibilmente simpatica, con tutte quelle mossette, quei “raga”, quel compiacersi cioè, tipo, io non ho più lacrime raga, ma a parte questo: la raga(zzotta) racconta di essere stata investita da due mocciosi, sui quindici diciassette anni, che prima l’hanno regolarmente molestata, poi, al rifiuto di fornire generalità social, l’hanno presa a sputi. Due volte.
Cioè raga sindaco, tipo, io non ho più parole. Anzi sì, a momenti mi scordavo: i due erano sicuramente stranieri, “non parlavano bene l’italiano”, questo però Repubblica, che fornisce la newsss, si guarda dal precisarlo, sta solo nel tiktok della Carlotta. Si vede che a Repubblica non pare decisivo quanto, giuro, combattere l’inquinamento non inclusivo delle palline da tennis. Capito, raga? Queste sono le priorità del decaduto foglio di proprietà degli eredi Agnelli. “Bella, Milano”, chiosa la ex sportiva. Bella sì. Perché scene di questo genere succedono dieci volte al minuto, sparpagliate fra i tre milioni che vi si agitano ogni giorno, la metà dei quali residenti, l’altra metà a sciamare ogni maledetto giorno, ogni mattina dalle tangenziali, dai treni, da chissà quali buchi di fogna.
Due ragionamenti spiccioli: se un paio di cretini minorenni, stranieri, prendono a insulti e sputi una ragazza che passa, è perché: 1. sanno di poterselo permettere, cioè non rischiano niente, e 2. lo considerano un diritto, qualcosa di indiscutibile alla luce della nuova colonizzazione che piace chiamare inclusività. Un processo con milioni di contraddizioni, ma basta ignorarle e se mai dare la colpa alla Meloni che ormai, più che un premier, pare un vaso di Pandora per conto terzi. La storiella della Carlotta sputacchiata per la via di Milano fa il paio con l’altra della metro di Roma, della povera borseggiatrice rom perennemente incinta che non ce la fa più, sia a rubare che a farsi ingravidare per impunità, prova a sottrarsi e allora i compagni dell’accampamento, maschi ma non solo, la pestano, la prendono a calci sotto gli occhi dei viaggiatori, non uno dei quali interviene ma, bando ai moralismi in saldo, c’è da capirli, alzi la mano chi avrebbe altro coraggio, posto che è garantito ti arriva qualche coltellata o ombrellata nel bulbo oculare e le stesse guardie di stazionamento, se possono, non si accorgono (e certo, mica sono pericolosi “novax” da schienare infilandogli in bocca la mascherina, ricordate, ai bei tempi?).
La cultura inclusiva, che meraviglia, che delizia. Delizia per Repubblica e gli altri foglietti della sostituzione programmata. L’hanno maciullata, la povera ladra seriale, perché la coscienza e la vagina le rimordevano, voleva sottrarsi a quell’inferno di vita ma i parenti tutti, le colleghe, i maschi una tantum non patriarcali (quelli siamo solo noi, che ci sputacchia pure il Cecchettin, eeeh già), l’hanno deformata di calci in bocca, siccome, sapete, loro sono perseguitati, hanno avuto l’Olocausto un secolo fa, hanno tutti i diritti di costringere le loro donne, di pestarle, di rubare impunemente, di spedire i loro figli ai semafori e, se capita, di rubare quelli degli altri, andiamo. Siamo tutti responsabili. Siamo noi i colpevoli, noi disprezzati dalle nuove coscienze inclusiviste dei Cecchettin e dai Salis.
Le due edificanti storielle potrebbero anche fare il triplete con quella del trapper, ma sul serio?, Baby Touché, marocchino di Padova invitato, chissà perché, in televisione, pare pure a lauto compenso, per dire a casaccio eh zio, vuoi fare a botte zio? Tutta questa gente, onesti stupratori di strada, mocciosi dallo sputo facile, perseguitati dei campi rom, parrucchiere col machete, vanno tolti dai coglioni. Vanno spazzati via, rispediti, basta discussioni, basta sfruculiare se sono italiani di nuova generazione, di origini esotiche, però nati qua, di sopra e di sotto, la rava e la fava. Vanno – semplicemente – espulsi. Via, andare, afuera, foera di ball. Per un mazzo di ottime ragioni: 1. sono inutili; 2. sono delinquenti; 3. sono incorreggibili; 4. sono odiosi; 5. tocca mantenerli; 6. una volta naturalizzati votano Pd che, in una politica globalmente famigerata, è il partito capace di toccare vertici inimmaginabili; 7. rappresentano il core business di una rete criminale che parte dai trafficanti, passa per gli scafisti, si appoggia alle Ong marinare, approda al cattocomunismo, al clero affarista e alla politica lucrativa per cui, come diceva l’eroico Buzzi, “si fa più soldi coi migranti che con la droga”. Anche basta.
Non si può più sentire un Casarini che, coi casini che ha addosso, ancora si permette di avvertire, in modo più o meno minaccioso, il presidente del Consiglio che gli ha fermato una bagnarola. Siamo in un Paese ancora civile, per modo di dire, o in una tribù della jungla? Non si può sentire il racconto quotidiano della donna predata per strada, di questi cialtroni violenti che vengono sotto il naso a dirti eh zio, io delinquo come mi pare e piace. Non si può arrivare in Stazione Centrale e vederli sfilare, al primo sole di primavera, in ciabatte lerce, la cicca in bocca, puntati contro ogni femmina che passa, tutte serialmente molestate, pronti a scannarti se intervieni, non è più sostenibile tutto questo lerciume. E il modo c’è. Pugno di ferro, come quello del Petrus. E zero pipponi tipo la statua che allatta non inclusiva. Svegliatevi milanesi, e svegliatevi cittadini, perché domani è già tardi; oggi, è già tardi.
Max Del Papa, 7 aprile 2024