Mi piacerebbe scrivere al Presidente Conte, da italiano apòta, per chiedergli di espellere subito il giovane criminale californiano. Con la modalità che crede, anche impacchettandolo su un aereo di stato per una pronta consegna nelle mani del suo Presidente. Individui così non li vogliamo, appartengono a un mondo di inquinatori, di portatori di metastasi. Donald Trump saprà cosa farne. Quando vivevo in America, se ricordo bene vigeva la regola che per chi uccideva un poliziotto la pena minima era molto alta. Il destino giudiziario di costui non deve interessarci. Noi lo espelliamo, prima del processo, senza chiedere nulla in cambio, loro facciano ciò che credono.
Il fatto è incontrovertibile: un giovane cocainomane californiano uccide con undici coltellate un carabiniere, usando un coltello da marines che, pare, si fosse portato da casa, punto. Su questo episodio media, politici, intellò, uomini della strada, ci si sono buttati a capofitto, parlando, parlando, scrivendo, scrivendo. In tre giorni, mischiando legalità, sensibilità, odio sociale, politica politicante, menzogne seriali, insulti reciproci, hanno costruito una serie di orrende fake truth, coinvolgendo la figura (nobile per definizione) del carabiniere ucciso.
Ci hanno raccontato di tutto e di più e fatto i commenti più curiosi. Il giovane californiano è di buona famiglia, non sapeva che chi stava accoltellando era un carabiniere (sic!). No, è un giovane criminale, cocainomane perso che i compagni di scuola, interpellati, definiscono un picchiatore e un delinquente (sic!). Poi viene presentato come un poveretto che ha subito un bendaggio illegale durante un interrogatorio (interviene il Procuratore Generale Salvi dice: interrogatorio regolare, scopriremo l’autore del bendaggio e della foto).
Poi la famiglia. Appartiene al mondo del milieu californiano di alto livello, finanziere il padre, immobiliarista la madre, casa nel Sunset District di San Francisco, proprietà sparse nella Marin County, e che dicono? “Perché nessuno parla con lui in inglese?” e poi si chiudono in un dignitoso silenzio (sic!). Altri fanno passare il messaggio che è inutile processarlo, perché il processo è comunque da trasferire alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (sic!). La più sincera, in fondo in fondo, è stata la professoressa novarese di storia dell’arte che, d’impeto, ha declinato, in linguaggio corrente, ciò che pensavano lei e quelli del suo ampio milieu sociale.