Esteri

Presidente-influencer: ora Zelensky ha perso la bussola

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La prima guerra integralmente mediatica della storia scatena i suoi effetti collaterali, su tutti la personalizzazione dei leader. Non si parla più di stati che invadono e vengono invasi, di popoli che si dibattono nelle torture e nelle angosce, ma di pochi personaggi: Putin, Zelensky, Xi, Biden. Una personalizzazione che li rende influencer con tutto ciò che di nefasto ne consegue. Cominciamo col dire che la comunicazione, che poi è propaganda registra un decorso non proprio imprevedibile: dalla spalmatura generale, acritica sul presidente ucraino, si è passati prima impercettibilmente, quindi in modo sempre più tracimante, alle cosiddette ragioni dello Zar.

Partito puninista italiano

Piaccia o non piaccia si è coagulato un partito putinista in Italia, fatto di esaltati, nostalgici del sovietismo, rancorosi, ipercritici del governo italiano (sembra paradossale, ma la logica è: sono contro Draghi, contro il greenpass e “quindi” mi schiero, più o meno apertamente, col regime russo, col suo autocrate che è un liberatore, è la vera vittima di una propaganda globalista). Un partito non dichiarato ma sempre più folto di provocatori, agitatori, narcisetti e qualche spia, arrivata a dettare addirittura le regole della conduzione dei programmi cui viene invitata: con l’effetto di insofferenze ripetute, forse genuine, forse recitate, dai conduttori che si indignano: qui comando io, lei stia al suo posto. Ma al suo posto non ci stanno, perché una volta scoperchiato, il vaso di Pandora del putinismo senza limitismo nessuno è più in grado di richiuderlo.

Zelensky iperinfluencer

Di pari passo con l’espansione del tifo per Putin va una certa brezza sempre più critica, o perfino autocritica verso Zelensky. Che ci mette abbondantemente del suo. Che sta cominciando a stufare la tribù dei suoi tifosi. Lo abbiamo visto all’inizio come un uomo coraggioso, capitato in un dramma epocale, infinitamente più grande di lui, che faceva il possibile per tenere alta la soglia di attenzione, per infondere coraggio al suo popolo, per invocare aiuto dal mondo cosiddetto libero; si direbbe che Zelensky ci abbia preso gusto o almeno abbia perso il senso del limite e a questo punto la sua comunicazione pop nel pieno di una aggressione che colpisce il suo Paese diventa sempre meno condivisibile e sempre più fastidiosa. Non c’è evento dove non si proponga, mettendosi nei panni dell’eroe, del martire, del condottiero, della coscienza planetaria. Irrompe all’EuroVision, sponsorizza la compagine ucraina, che fatalmente vince, da lì piomba al festival di Cannes, cita, senza sospetto di ridicolo, Il Grande Dittatore di Chaplin, dice la sua per qualsiasi accadimento: è un iperinfluencer dai tratti megalomani, non ha i tratti da Tin Tin di Hergé del professor Orsini ma quelli del cabarettista che non ha ancora cambiato pelle del tutto.

Ironia del web

E le battute e i meme sui social fisiologicamente si sprecano: Zelensky arbitra la finale di Champions League, Zelensky vince il Giro d’Italia, Zelensky Grande Fratello dei poveri, Zelensky partecipa all’Isola dei Famosi, Zelensky compare sul tuo videocitofono. L’ironia lascia trapelare l’irritazione ed è un sentimento inevitabile, tanto più che l’uomo, ora in mimetica, ora in piumino griffato, ora con certe magliettine sudaticce, personalizza il tutto con accenti sconosciuti non si dica a Putin, ma perfino a Stalin buonanima, si fa per dire. È tutto un “io, io, io, l’Ucraina, io, io, io, il mondo, io, io, io”. Zelensky spunta dal frigorifero, da un film porno al posto di Rocco Siffredi, da La vita in diretta, dal Festival di Ariccia, dal tuo letto quando non ci sei e credi tua moglie sola in casa.

Zelensky idraulico, lattaio, alla Leopolda, incorporato nel maxischermo appena comprato: le versioni sono potenzialmente infinite e tutte a loro modo divertenti. Dove poi porti tanto attivismo egocentrico, non si capisce: forse serve a lui, anche per non farsi accoppare da qualche missile svolazzante, ma è dubbio che serva davvero agli ucraini, ormai relegati a comparse di una tragedia epocale. Uno dei più scatenati è, ovviamente, Osho-Palmaroli: “Zelensky al Giappone: mandatemi Goldrake”. E qui l’umorista di razza mette il dito su una piaga più grande, per quanto inespressa: giusto, legittimo, anche inevitabile che il leader di un popolo schiacciato chieda aiuto, in tutte le forme possibili; meno piacevole che lo pretenda, e per di più alle sue condizioni.

Solo lui e l’Ucraina

Per Zelensky le implicazioni provocate da embarghi, sanzioni, forniture di armi, semplicemente non esistono: esiste solo l’Ucraina, o, per essere più precisi, esiste solo lui, lui, lui come gran capo dell’Ucraina. E questo, non c’è bisogno di dirlo, finisce per fare il gioco degli opportunisti e dei fanatici dell’altro campo, quelli che per ogni cosa darebbero la colpa all’America, al Patto Atlantico, alla Nato, al generale Custer. In Ucraina c’è un invaso e c’è un invasore e i ruoli non vanno confusi, non vanno mistificati; ci sono stragi orrende (e chi le nega dovrebbe mettersi davanti a uno specchio); ci sono responsabilità nette, inequivocabili anche in senso storico, per quanto una strampalata propaganda gesticolante tenda a un revisionismo a tratti ignobile.

Ma la vanità insostenibile dell’ex comico rende tutto più opaco, si presta a sospetti, porge il fianco a dietrologie e accuse ora farneticanti, ora plausibili. Sarà un figlio del suo tempo, sarà trascinato dalle circostanze, ma se questo Zelensky non si dà una calmata, se, mentre cade Mariupol, lui indugia nei videomessaggi da red carpet a Cannes, finisce, detta in modo geostratetico, per rompere i coglioni non tanto al resto del mondo, quanto all’Ucraina che sostiene di voler far brillare di resistenza, mentre la sta inesorabilmente oscurando.

Max Del Papa, 19 maggio 2022