Riforme costituzionali

Presidenzialismo o premierato? Meglio il secondo (e c’è un perché)

Domani l’incontro con le opposizioni sulle riforme. Pd e M5S sulle barricate, la maggioranza pronta a fare da sola. Ma cosa è meglio?

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meloni riforme

Il 9 maggio il Presidente del Consiglio incontrerà le opposizioni per discutere di riforme costituzionali. Sul tavolo presidenzialismo e premierato. Da Italia Viva e Azione arriva un primo sì al premierato. Da M5S e Pd invece un secco no a qualsiasi cambiamento. Eppure, il Pd, quantomeno fino all’elezione di Schlein, non aveva chiuso al premierato. Ma oramai lo scontro è politico e i giallo-rossi faranno muro contro muro contro il governo. Comunque vedremo cosa uscirà dall’incontro.

Noi avevamo già affrontato la questione delle riforme costituzionali in un nostro speciale su “Nazione Futura” uscito a dicembre scorso, ma ci torniamo oggi perché crediamo che Meloni e la maggioranza di governo dovrebbero convergere sul premierato e lasciar perdere presidenzialismo o semipresidenzialismo che dir si voglia. Vediamo perché affrontando tutte e tre le soluzioni: presidenzialismo, semipresidenzialismo e premierato.

Il presidenzialismo

Quello americano non è neanche sul tavolo della discussione. Negli Usa il Presidente è sia Capo dello Stato che Capo del governo (cioè le due figure sono incarnate dalla stessa persona), è eletto indirettamente dal popolo con il sistema dei grandi elettori Stato per Stato e non deve mai avere la fiducia da parte del Congresso. In caso di “anatra zoppa” (Presidente di un partito e Congresso a maggioranza di un altro), l’inquilino della Casa Bianca è impegnato a trovare un accordo politico con il Congresso, che di solito rispetta il peso della figura preminente nel sistema costituzionale, che è quella del Presidente. Di fatto, alle elezioni di medio termine (cioè dopo i primi due anni di mandato presidenziale), la maggioranza al Congresso cambia quasi sempre colore politico, che di solito è opposto a quello del Presidente. In tal modo trovano attuazione quei pesi e contrappesi immaginati dai padri fondatori per bilanciare il potere del Presidente. In Italia una forma di governo di questo tipo non è al momento neppure immaginabile per via della radicata tradizione parlamentare. È pur vero che i padri fondatori degli Stati Uniti presero spunto dall’assetto istituzionale della Roma imperiale (Princeps e Senato), ma è anche vero che l’Italia nata nel 1861 non ha nulla a che fare istituzionalmente con l’esperienza di Roma.

Il semi-presidenzialismo

È la forma di presidenzialismo di cui parla da diversi anni Fratelli d’Italia, e ancor prima Alleanza Nazionale. Prendendo ad esempio quello francese, al quale di solito in Italia facciamo riferimento, il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato ma non anche quello del Governo. Il Primo Ministro è nominato dal Presidente della Repubblica e non deve ottenere la fiducia iniziale da parte del Parlamento, che però può sfiduciarlo in ogni momento successivo della Legislatura. In pratica il Primo Ministro è espressione politica del Presidente della Repubblica, che tuttavia deve tenere conto – nella nomina – degli esiti delle elezioni politiche. Ci spieghiamo meglio. Se alle elezioni politiche la maggioranza assoluta la ottiene un partito o una coalizione di segno opposto a quella del Presidente, questo nomina di solito come Primo Ministro il leader del partito/coalizione vincente. In tal caso si verifica la cosiddetta “coabitazione” tra Presidente e Primo Ministro, che ovviamente devono trovare di volta in volta accordi di natura politica. Se invece è il partito del Presidente ad ottenere la maggioranza assoluta, il Primo Ministro altro non è – in sostanza – che l’alter ego del Presidente. Se invece il partito del Presidente ottiene la maggioranza relativa, allora la figura del Primo Ministro è di solito legata al partito del Presidente oppure ad un partito che fa convergere i suoi voti sulla linea politica dell’Eliseo (all’insediamento del governo la fiducia non serve, dunque gli accordi si fanno di volta in volta).

Il governo può anche cadere per effetto di un voto di sfiducia dell’Assemblea nazionale espresso in un momento successivo all’insediamento dell’esecutivo, mentre il Presidente non può essere sfiduciato dal Parlamento in quanto eletto direttamente dal popolo (col sistema del doppio turno). In Italia è una soluzione da non prediligere perché in caso di coabitazione si avrebbe uno stallo irreversibile sia dell’azione politico-amministrativa che di quella legislativa. È inimmaginabile avere, ad esempio, un Salvini o una Meloni al Quirinale e una Schlein o un Conte a Palazzo Chigi, e viceversa. Non funzionerebbe.

Il premierato

È una variante della forma di governo parlamentare che meglio si confà – a nostro avviso – con le vesti istituzionali del nostro Paese. Il popolo elegge il Parlamento e nello stesso giorno designa, anche senza lo strumento dell’elezione diretta, la figura del Primo Ministro, il cui nominativo corrisponde solitamente al leader del partito o coalizione vincente (è indifferente se il suo nome sia indicato sulla scheda elettorale, semmai necessita che sia indicato all’atto della presentazione delle liste prima del voto). Il sistema istituzionale non gravita attorno al Parlamento ma attorno alla figura del Primo Ministro, il quale non necessita del voto di fiducia iniziale da parte delle Camere. Il Parlamento può tuttavia votare la sfiducia al governo in ogni momento della Legislatura successivo all’insediamento dell’Esecutivo. Meglio se la mozione di sfiducia sia “costruttiva”, cioè che non sia “al buio” ma che presenti una soluzione certa per il dopo: elezioni anticipate oppure nomina di un nuovo Primo Ministro già indicato nella mozione. In tale sistema il Presidente della Repubblica (che può essere eletto direttamente dal popolo oppure dal Parlamento, poco importa) si limita a svolgere le funzioni di notaio, essendo il premier il perno dell’intero sistema istituzionale. In tale disegno occorrerebbe potenziare gli strumenti di democrazia diretta, come ad esempio il referendum abrogativo di cui all’art. 75 della Costituzione, riducendo il quorum costitutivo per la validità del referendum, ad esempio, al 35-40% degli aventi diritto al voto (oggi è al 50%). Parimenti occorrerebbe introdurre in Costituzione il referendum popolare consultivo, su qualsiasi materia e senza quorum.

Insomma, presidenzialismo o semi-presidenzialismo non funzionerebbero, il premierato sì. Anche perché l’attuale maggioranza di centro-destra vedrebbe convergere su una simile proposta anche i voti di Azione e Italia Viva. Al referendum confermativo, centrodestra più una parte di centrosinistra ce la possono fare; Pd e M5S non avrebbero la forza per far fallire la consultazione referendaria. Vale dunque la pena tentare.

Paolo Becchi e Giuseppe Palma, 8 maggio 2023

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