È a tutti evidente che il sistema politico italiano è bloccato. In verità non da oggi, anche se la sua lenta agonia sembra giunta in questa legislatura alla fase terminale. Che i problemi stiano nel manico, e cioè nella Costituzione, è altrettanto evidente: l’ordinamento dello Stato e la forma di governo in essa delineate non solo privilegiano in maniera fortemente asimmetrica il principio di rappresentatività rispetto a quello di governabilità, ma sono andati col tempo sempre più complicandosi e degenerando, in un processo che ha visto anche introdursi di soppiatto nel 1970 le regioni e più tardi tutte quelle modifiche devolutive del Titolo V che si sono semplicemente sovrapposte al corpo centrale.
Una Carta che ingessa
Il risultato è un sistema che ha accentuato la frammentazione dei poteri, l’assemblearismo e i poteri di veto reciproci. Ciò proprio mentre i tempi esigevano soluzioni più rapide e incisive. Da una parte, a questa deficienza non si è posto rimedio, e da qui il sostanziale immobilismo del Paese; dall’altra, si è agito in maniera molto ipocrita, forzando le forme della Costituzione (come è stato particolarmente evidente in questa legislatura ma come è in pratica d’uso da un bel po’, vedi ad esempio con l’uso improprio dei decreti-legge governativi) pur riservando ad essa un alone di “sacralità” che viene continuamente contraddetto dai fatti. A dire il vero, l’implosione delle forme della democrazia liberale è un po’ un tratto comune dei nostri tempi, ma in Italia è indubbio che essa sia stata acuita e portata dalle circostanze ereditate alle estreme conseguenze.
La proposta di Giorgetti
Per provare a mettere qualche importante pannicello, e così almeno non penalizzarci rispetto agli Stati a noi più vicini, è chiaro che una soluzione presidenzialistica o semi presidenzialistica sarebbe auspicabile. Quella che è sembrata una frase di contorno, uscita a Giancarlo Giorgetti quasi per caso nella sua intervista a Bruno Vespa che era e voleva essere essenzialmente un endorsement per Draghi, va perciò presa sul serio. Sia perché rompe un po’ il gioco delle ipocrisie sulla nostra Costituzione, sia perché solleva il tema del presidenzialismo.
Vanno però sottolineati con forza due elementi che restano in Giorgetti fuori dal quadro:
1. non si può continuare nell’ipocrisia aggiungendone un’altra e più grossa: si agisca de jure e non de facto, cioè cambiando la Costituzione nei modi dovuti, ad esempio riprendendo la proposta di Marcello Pera di una mini-costituente eletta col metodo proporzionale;
2. non esiste presidenzialismo in un sistema democratico che sia slegato dal voto: proprio perché il capo dello Stato è in sostanza anche quello del governo, esso deve passare attraverso elezioni ed essere così legittimato dal popolo a cui appartiene la sovranità (da questo punto di vista non potrà mai essere Draghi, che è sintomo della “malattia” della politica e dei partiti ma la cui che può “curarla” solo se la “medicina” da lui non diventa essa stessa parte della malattia.
Sia però permesso al termine di questo ragionamento essere anche molto scettici: difficilmente il presidenzialismo passerà, e anche solo modificare qualche parte della Costituzione sarà un’impresa improba. E ciò per il semplice fatto che in questo caso alla sinistra, che trova nell’ideologia la sua identità e ragion d‘essere, scattano degli automatismi mentali, dei tic verbali, delle coazioni a ripete parole e atteggiamenti, che di fatto favoriscono lo (per lei comodo) status quo. Sono quelli di sempre e un piccolo assaggio se ne è già avuto già come reazione alle parole di Giorgetti: no alla “deriva autoritaria”, sì alla Costituzione “più bella del mondo”, sì alla “centralità del Parlamento”. Cioè proprio quella “centralità” che viene di fatto ogni giorno violata.
Corrado Ocone, 4 novembre 2021