Ormai è la notizia del giorno, quella della cattura del superboss Matteo Messina Denaro, avvenuta stamattina a Palermo in una clinica privata, dove era in cura per un tumore da circa un anno. Latitante dal 1993, Messina Denaro – detto anche U Siccu oppure Diabolik – ha rappresentato il punto fermo di Cosa Nostra, dopo la cattura di Totò Riina e Bernando Provenzano.
Messina Denaro ha rappresentato la “mafia dei due volti”. Da una parte, quella stragista degli anni ’90, sfociata negli omicidi dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino; dall’altra, quella del traffico, del business, del riciclaggio di denaro. Fu lo stesso Messina Denaro, infatti, ad essere soprannominato “l’affarista”, direttamente dal suo padrino Totò Riina.
Un arresto, quello di stamattina, arrivato grazie alle operazioni dei Carabinieri, guidati dal procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, ed il procuratore aggiunto, Paolo Guido. Una cattura che fa tornare alla memoria l’intervento in Senato dell’ex magistrato, oggi senatore pentastellato, Roberto Scarpinato, nel giorno dell’insediamento del governo Meloni. Direte: che c’entra?
C’entra. Perché nel suo discorso al Parlamento dello scorso ottobre, Scarpinato poneva dubbi circa la fermezza della premier a combattere l’onda mafiosa, sia quella criminale che quella dei colletti bianchi. E questo a causa della presenza di Forza Italia all’interno dell’esecutivo. “Lei è sostenuta da una forza politica, il cui leader ha mantenuto rapporti pluriennali coi mafiosi, e che ha tra i soci fondatori Marcello Dell’Utri”, condannato nel 2014 per concorso esterno in associazione mafiosa.
Immediata c’era stata la risposta di Giorgia Meloni: “L’effetto transfer che lei ha fatto tra neofascismo, stragi e sostenitori del presidenzialismo è emblematico dei teoremi con cui parte della magistratura ha costruito processi fallimentari, a cominciare dal depistaggio nel primo giudizio per la strage di via D’Amelio. Questo è tutto quello che ho da dirle”. Tre mesi dopo, quel governo che per Scarpinato non doveva avere lo standing per combattere la mafia, può invece fregiarsi della cattura del superlatitante. Un paradosso singolare, che sbugiarda per l’ennesima volta quella linea giustizialista adottata da parte della magistratura italiana negli ultimi tre decenni. “Sono fiera – ha detto oggi il premier – del fatto che il primo provvedimento del mio governo sia stato difendere il carcere duro, perché se oggi, dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro, non corriamo rischi di regimi carcerari meno rigidi è perché quell’istituto voluto da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino è stato difeso dall’esecutivo”.
Per approfondire:
- Arrestato il boss Matteo Messina Denaro
- Matteo Messina Denaro, il video dell’arresto
- La clamorosa profezia su Matteo Messina Denaro: “Si farà catturare”
Nel corso della Zuppa di oggi, è anche Nicola Porro a sottolineare questo clamoroso cortocircuito: “Il magistrato siciliano, diventato senatore, diceva che la Meloni non farà molto contro la mafia; dopo tre mesi, il governo Meloni ha arrestato il numero uno della mafia“. E prosegue: “Se questi grandi magistrati dello Stato, che parlano e pontificano, avessero fatto un quarto di quello che ha fatto questo esecutivo, forse avrebbero qualche merito in più!”.
Per approfondire:
Nel frattempo, il Presidente del Consiglio è arrivata poche ore fa a Palermo ringraziando procuratori e Carabinieri per la cattura di Messina Denaro: “All’indomani dell’anniversario dell’arresto di Totò Riina – dice Meloni – un altro capo della criminalità organizzata viene assicurato alla giustizia. I miei più vivi ringraziamenti, assieme a quelli di tutto il governo, vanno alle forze di polizia, e in particolare al ros dei carabinieri, alla Procura nazionale antimafia e alla Procura di Palermo per la cattura dell’esponente più significativo della criminalità mafiosa”. Poi ha aggiunto: “Adesso spero che qualcosa di più possa uscire anche su chi ha eventualmente collaborato con una persona con la quale chi è perbene non collabora”.