Il piatto piange e il Quirinale, innervosito, non può licenziare ancora il pasticciato Decreto Rilancio. E Giuseppe Conte continua a confidare sulla sua intoccabilità, millantando l’appoggio non solo di Mattarella, ma anche di Bergoglio. Il Premier ‘multitasking’ gioca ora su due tavoli, rimescolando le carte della partita pro domo sua: sul primo, minaccia un partito personale pseudo-cattolico; sul secondo, azzarda il suo gradimento col Pd che, crede lui, lo incoronerebbe candidato premier, consentendogli di portarsi dietro una pattuglia dei grillini più sinistroidi.
Si ritiene un giocatore di poker professionista, ma in realtà è solo Giuseppi. Ormai anche i suoi due principali alleati, il Movimento 5 Stelle ed il Partito Democratico, lo vedono solo come un ostacolo per la ripresa del Paese alla fame. Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, che si pente di averlo sinora supportato, teme, come ha detto, che “la rabbia sociale può esplodere e se la protesta deflagra rischiamo di non controllarla più”. Cosi, i big del partito, da Franceschini a Zanda, ormai considerano Conte e il ministro dell’Economia Gualtieri totalmente inadeguati.
Ma lo tsunami più rovinoso rischia di venire proprio dal Movimento 5 Stelle, dove due astri lucenti stanno perdendo smalto: Beppe Grillo si rende conto che i suoi seguaci lo considerano un vigliacco per essere sparito dalla scena e non aver saputo tenere unito il Movimento dopo aver aperto al Pd. Pare che ormai passi ore solo con Stefano Benni alla ricerca di un nuovo canovaccio per tornare, quando mai sarà, a riempire i teatri e fare incassi che, da buon genovese, gli mancano come l’aria. E Davide Casaleggio, abbandonato non più tanto e solo da quei circoli di iniziati inglesi che lo hanno spinto e protetto e dalle aziende che hanno investito nei suoi prodotti, ma soprattutto dai parlamentari che ha spremuto e che oggi non credono più nella sua piattaforma Rousseau. Sono gli stessi che hanno rimandato al mittente la folle idea di svolgere via web la prossima assemblea che dovrà scegliere la nuova guida del Movimento 5 Stelle, dopo la disastrosa gestione di Vito Crimi, il cui posto avrebbe voluto prendere proprio Casaleggio Junior.
In mezzo a questi personaggi che stanno perdendo colpi, Conte cerca la sua manche vincente, da un lato accreditandosi in Vaticano come il leader di un nuovo partito che andrà a braccetto con l’associativismo cattolico e, dall’altro, immaginando di mettersi a capo di una fronda grillina che potrebbe annettersi al Pd, con buona pace del progetto originario del Movimento 5 Stelle. Un progetto esposto riservatamente, nelle ultime ore, al presidente della Camera, Roberto Fico, che conta sull’appoggio dei ministri D’Incà e Patuanelli, del sindaco di Napoli Luigi De Magistris e di due grilline a briglia sciolta come Paola Taverna e Barbara Lezzi, la quale ancora non si dà pace per essere stata rimossa dal governo.
In mezzo al guado, indeciso e sbandato, il solito Alessandro Di Battista, eterodiretto dalla società editoriale de Il Fatto che gli ha permesso di sbarcare il lunario, facendogli girare il mondo. Tra queste variopinte realtà grilline irrompe l’aplomb di Luigi Di Maio, ormai perfettamente inserito nella galassia del potere, avendo stretto rapporti consolidati non solo nella Pubblica Amministrazione, ma anche nelle grandi partecipate pubbliche, dall’Eni a Cdp, dalla Rai a Terna, e con collegamenti politici personali trasversali che vanno da Crosetto a Giorgetti, da Rosato allo stesso Zingaretti. Con lui, alcuni fedelissimi nei posti chiave, da Fraccaro a Spadafora, agli ammaccati Bonafede e Crimi.