Price cap, la grande supercazzola di Draghi sul gas

La proposta della Commissione sul gas fa infuriare mezza Ue. Il governo italiano: “Insufficiente”

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Sono andato a rivedere l’ultima conferenza stampa di Mario Draghi. Fatelo pure voi. A margine di un tormentato consiglio europeo sul price cap, l’allora premier si congedò dalla stampa (amica) con quella che già a quel tempo appariva tale, ma che oggi a tutti gli effetti possiamo definire una supercazzola. “Le decisioni di questa notte mi hanno reso soddisfatto”, disse, perché “il pacchetto approvato accoglie tutte le questioni proposte dall’Italia”, tra cui il famoso “corridoio al prezzo del gas”.

Supermario calcò la mano su una parola “decisione”, quella cioè che il Consiglio avrebbe assunto sul tetto e che la Commissione avrebbe rapidamente tradotto in norma “operativa”. Fantasie, era chiaro. Perché i grandi dell’Ue avevano solo deciso il contorno, le linee guida, ma poi era ancora da sciogliere il nodo centrale. Ovvero trovare un compromesso tra i contrari (Germania, Olanda) e i favorevoli (Italia, Spagna, ecc). Compromesso complicato, ai limiti dell’impossibile, come dimostrato dall’orribile topolino partorito ieri da Ursula von der Leyen.

Non c’è molto da dire. La sintesi perfetta è tutta qui: il price cap c’è, ma non si vede. Ed è pieno di lati oscuri. Primo: il “tetto” è fissato a 275 euro a megawattora, un botto, un livello oltre il doppio l’attuale prezzo del gas (130 euro oggi) e soprattutto sopra la media di tutti gli ultimi mesi. Praticamente l’Ue ci sta dicendo: continuerete a pagare l’energia a caro prezzo. Secondo: il meccanismo che porterà all’eventuale attuazione del tetto (15 giorni prezzi oltre i 275 euro e altre diavolerie) è talmente complicato che in pratica non scatterà mai. Basti pensare che ad agosto, quando l’Europa si stava impiccando per comprare qualche megawattora di metano, il costo del gas è salito sopra quota 275 euro solo per 6 giorni. Dunque il tetto non sarebbe scattato neppure allora. Terzo: lo strumento riguarda solo i prodotti venduti sul mese successivo, quindi solo una minima parte, peraltro neppure quelli con grandi volumi. Quarto: il rischio è che un price cap così elevato produca l’effetto contrario, ovvero spinga in alto i prezzi.

Non è un caso se oggi, dopo le notizie sulla proposta della Commissione, il mercato del Ttf è salito dell’8,5%. Era scontato. E forse anche Mario Draghi sapeva che la “decisione” assunta al Consiglio europeo di un mese fa non avrebbe portato nel breve periodo il risultato sperato (“ci saranno discussioni”, disse). Oggi infatti tutti i Paesi che erano favorevoli al price cap si sono tirati indietro. Per il ministro italiano Gilberto Pichetto Fratin la proposta è “insufficiente” e “rischia di stimolare la speculazione invece di arginarla”. Pedro Sanchez la pensa allo stesso modo, ritenendo l’Europa “fuori strada”. Il premier polacco Morawiecki è “preoccupato” e pure fonti dell’Eliseo fanno trapelare irritazione. Perché un tetto simile sembra scelto apposta per compiacere Germania e Olanda e mettere tutti gli altri nelle condizioni di rinunciarvi.

In fondo Bruxelles e Berlino lo dicono da tempo (e hanno sicuramente ragione): il timore è i fornitori calcolino sin da subito un “rischio extra” sulla possibilità che l’Ue imponga un prezzo massimo; senza dimenticare che potrebbero tranquillamente portare il metano altrove, lì dove gli acquirenti sono disposti a pagare di più.

Ha dunque ragione da vendere il ministro spagnolo Ribera Rodriguez nel dire che Ursula sembra “prendere in giro” tutti “con uno scherzo”. Domanda maligna: non è che, per caso, l’accordo in Consiglio di un mese fa venne raggiunto solo per dare il contentino a Supermario? All’accordo magari ci si arriverà, ma chissà quando e a quali parametri. La battaglia è tutta ancora da giocare. Perché la realtà oggi dice che di “decisioni”, qui, non si vede neppure l’ombra. Bisogna ancora negoziare. Ancora. Ancora. E intanto l’inverno ormai è arrivato.

Giuseppe De Lorenzo, 21 novembre 2022

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