“Privilegiare le ricerche degli studiosi di colore a scapito degli studiosi bianchi”. Cosa succederebbe se un professore universitario proponesse un simile criterio selettivo? In Italia, immagino, la sconfessione (o più probabilmente la derisione) sarebbe totale lungo tutto lo spettro politico, da destra a sinistra.
Invece, nel mondo politically correct dell’università americana, questo concetto è sempre più mainstream. O almeno, una persona che rimane perplessa ancora c’è: lei si chiama Mary Frances Williams ed è lei a raccontarci quanto avvenuto in questo articolo su Quillette.
E se un video non avesse registrato l’intera conferenza, ci sarebbe da dubitare delle sue parole. Siamo all’annuale raduno della Società per gli Studi classici. In pratica l’associazione che raduna gli studiosi di studi classici, greco e latino. Gli studi classici, in America, non se la stanno passando molto bene. Gli iscritti ai corsi diminuisco, le cattedre vengono soppresse. Il tema della conferenza di quest’anno è appunto come invertire la tendenza. E fin dalle prime battute si intuisce che il problema venga affrontato attraverso le lenti, sempre più pervasive, della nuova sinistra identitaria.
Per salvare gli studi classici, è la premessa, bisogna coinvolgere gli studenti di colore. E fin qua ci può stare. A lasciare perplessi è il come.
Sono spaventati dal greco e latino, è la tesi di una relatrice “Non tutti i classicisti dovrebbero insegnare latino e greco”, e perché non includere “gli scritti dei nativi americani” nel corso di studi? “Ma allora che senso hanno gli studi classici?”, si chiede la Williams. Alcuni dei grandi classicisti americani sono poi “problematici”. Basil Gildersleeve ad esempio, è considerato uno dei più eminenti grecisti del XIX secolo. Ai tempi della guerra civile, era però un sostenitore del Sud schiavista. “Continuare a celebrarlo, significa dire alle persone di colore che non sono le benvenute”.
Quindi bisogna usare le sue traduzioni, in alcuni casi irrinunciabili, ma senza citarlo? – si chiede sempre la Williams.
E poi arriva Dan-el [sic] Padilla Peralta, di Princeton: “Nei prossimi minuti voglio concentrarmi sulla sistemica marginalizzazione delle persone di colore nella nostra disciplina”.
Ad onor del vero, tra i presenti alla conferenza, Padilla sembra essere l’unico nero. Lui sostiene che anche nelle riviste di settore oltre il 90% dei paper sono pubblicati da bianchi. Questa affermazione è un po’ sorprendente perché nei paper non viene citata l’etnicità dell’autore. Come ha fatto quindi Padilla a ricavare questo dato? Semplice, perché Padilla, nel suo progetto di emancipazione basato sulla “giustizia citazionale” è andato a cercare l’origine etnica di ognuno degli autori citati. Insomma, questo professore di Princeton ha passato ore, se non giorni, a stilare un elenco dei suoi colleghi, categorizzati su basi etnica.
Cosa fare quindi per decolonizzare gli studi classici dall’egemonia dei bianchi? “È la più fondamentale questione della nostra disciplina – prosegue Padilla.
La soluzione è questa: “I maschi bianchi devono rinunciare ai loro privilegi (surrender their privilege). Devono prendere posto in seconda fila (take the back seat) e lasciare che le persone di colore, le donne e gli studenti di genere non-conforme prendano il loro posto e siano pubblicati”. (Se non ci credete questo è il momento preciso del video).
“Ogni persona di colore prenderà il posto di un ricercatore bianco che è stato o avrebbe potuto essere pubblicato. E questo è un futuro per cui vale la pena combattere” conclude, tra gli applausi. Sì. Tra gli applausi. La Williams è un po’ perplessa. E il merito? E i contenuti? Prende la parola (avviene qui). Esordisce dicendo che siccome gli studi i classici sono alla base della civiltà occidentale… “Noi NON siamo la civiltà occidentale”, viene interrotta da una delle relatrici. Poi prova a ricordare l’importanza che Omero, Cicerone, Tucidide… “Lei sta citando tutti maschi” fa notare trionfante la stessa relatrice.
“Io credo nel merito! – insiste la Williams sempre più stressata – Lei, Padilla, ha forse preso la cattedra perché è nero, ma io vorrei pensare sia per merito”. Come dire, anche a lei non farebbe piacere essere pubblicato solo grazie al colore della sua pelle. Ma l’affermazione è maldestra e presta il fianco. “Sapevano che sarebbe arrivata a questo”, sospira la relatrice. Padilla alza le braccia di fronte all’ennesima discriminazione. Gli altri le si fanno intorno. La Williams lascia il microfono e batte in ritirata.
Paradosso conclusivo: chi non è d’accordo a giudicare le persone in base al colore della pelle, è un razzista.
Stefano Varanelli, 29 marzo 2019