Meglio tardi che mai. Finalmente Romano Prodi prende carta e penna e, invece di inventarsi frottole sul tocco alla spalla, decide fare mea culpa. Però a metà, visto che manca la parola “scusa”, parolina semplice semplice che, l’avrà imparato a 85 anni, se pronunciata nell’immediato avrebbe chiuso ben prima il caso.
“Ritengo sia arrivato il momento di chiarire alcune cose rispetto a quanto accaduto sabato, 22 marzo, a margine della presentazione del mio ultimo libro – si legge in una nota diffusa dall’ex premier – Il gesto che ho compiuto appartiene a una mia gestualità familiare. Mi sono reso conto, vedendo le riprese, di aver trasportato quasi meccanicamente quel gesto in un ambito diverso. Ho commesso un errore e di questo mi dispiaccio. Ma è evidente dalle immagini e dall’audio che non ho mai inteso aggredire, né tanto meno intimidire la giornalista”. Il tutto solo poche ore dopo che aveva assicurato si trattasse di un “gesto di affetto”.
Da qui, Prodi prende spunto per una “una riflessione che forse è utile”. Quale? “Penso sia un diritto di ciascuno, non importa affatto quale ruolo abbia ricoperto nella vita, rivendicare la propria storia e la propria onorabilità e non accettare, come un destino inevitabile, la strumentalizzazione e persino la derisione dilaganti, anche grazie alla potenza della Rete. Come se un’intera vita non contasse, come se il futuro non esistesse”.
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Ci permettiamo di fare due appunti, veloci veloci. Primo: nessuno ha mai sostenuto che Prodi abbia commesso chissà quale violenza contro Lavinia Orefici, anzi. Abbiamo sempre detto che non intendevamo fare piagnistei. Poi però l’ex presidente del Consiglio si è inventato una bugia di sana pianta (“le ho toccato la spalla”) che a) metteva in dubbio la versione della cronista e b) la faceva passare per una bugiarda “che diceva cose assurde”. Il tutto nonostante il fatto si sia svolto di fronte a numerosi testimoni, nonostante Orefici non avesse motivo per mentire e soprattutto con almeno cinque telecamere accese a registrare il tutto.
Dunque ben vengano le farfugliate ammissioni di colpa, al netto dell’assenza della parolina magica. Però forse sarebbe doveroso anche fare ammenda anche per la clamorosa bugia scritta in quella nota. No?
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