Il piccolo vecchio Romano Prodi avrà pure i suoi motivi per essere bizzoso, stanco, contrariato, ma questo non lo autorizza a certi comportamenti beceri. Volgare l’inviata di Quarta Repubblica che gli chiede conto della concezione sovietica della proprietà nell’immaginifico manifesto di Ventotene? No, volgare lui che ostenta una pretestuosa quanto strampalata insofferenza. Si potrebbe pensare che l’inviata abbia peccato di inadeguatezza, che sia andata lì con una domanda provocatoria, ma se ci si riflette bene quella provocazione aveva tutte le ragioni, tutti i presupposti.
Perché è lì che si gioca la questione, che i post comunisti, sempre troppo comunisti, preferiscono aggirare o mistificare, alla Saviano: i padri costituenti, di cosa non si sa, Spinelli, Rossi e Colorni, l’hanno scritta o no la faccenda della proprietà privata da estirpare, l’hanno concepito o no un manifesto delirante o delinquenziale di stampo leninista per cui la plebe va diretta, se occorre con la cattive? Sì, l’hanno scritto e allora chi sostiene tanta abiezione deve assumersene la responsabilità. Non può accusare chi si limita e leggere certi passi imbarazzanti. Non può ostentare disprezzo come fa questo Prodi, uno i cui errori, se poi furono errori, in buona fede, non finiremo mai di scontare, in Europa come in Italia. Uno che a quasi 90 anni non se ne dà per inteso, ancora briga, ora per far fuori la temeraria Elly, ora per correggere verso la Cina la rotta industriale italiana, ora per sue incomprensibili bizze personali: e ancora parla, ancora ostenta superiorità?
La verità è che la non risposta di Prodi è patetica. Ed è cafonesca. Si limita a tirar fuori il solito contesto, il confino, le condizioni estreme, l’isolazionismo alienante, tutta roba che non c’entra niente ed è per questo che si rivolge in modo tanto maleducato, come uno che non sa come uscirne. Se poi voleva dire che in cattività si possono dire, scrivere autentiche aberrazioni, allora ne prendiamo atto, ma non è una giustificazione, è un’ammissione. Come a riconoscere che quel Manifesto è effettivamente delirante, a tratti vergognoso e l’hanno vergato tre venerati che dal confino lavoravano per il PCI togliattiano nel controllo di Mosca.
Quanto ad ammettere, anche, la connivenza, la malafede da chi ancora dopo 80 anni si ostina a difendere qualcosa di indifendibile. Resta, a margine, la solita considerazione per cui se a sbottare o sclerare è uno collocato a destra ci si straccia le vesti, se ne protesta la matrice autoritaria e fascistoide; se la scenata viene da un cattocomunista, si fa finta di niente e se mai si getta la responsabilità sull’incauta che ha osato interpellarlo, scoprendone la coda di paglia. La bonomia, ostentata, bolognese, falsa, del boiardo lascia il posto alla volgarità istintuale, dell’animo: non c’è in quel comportamento niente di comprensibile, di condivisibile nel senso dell’umana esasperazione, ma sì, un momento storto capita a tutti, specie a un preoccupato 87enne; no, lì c’è la maleducazione del potente che non ammette di venire disturbato, che se la prende con una donna dandole della poveretta, della volgare, e per cosa? Per una domanda politica, su una impostazione politica di un manifesto politico.
A questa stregua, la Giorgia Meloni dopo 2 ore di comizio milionario dal Benigni che, senza nominarla, la tira in ballo senza sosta, la insulta, allude alla sua pulsione autoritaria, la provoca, tenta di umiliarla, avrebbe dovuto imbracciare il bazooka, come Rambo. Invece lei niente, si lascia dare della ignorante da un Saviano, che è tutto dire, della bestia anche dal primo pirla canterino che passa e non si capisce se sia una tattica, una debolezza, o cristiana rassegnazione; comunque uno spettacolo che non è gradevole così come non è piacevole sentire un presidente del Consiglio che ammette l’imboscata dalla Rai, come se vivesse, se comandasse a San Marino.
Sbaglieremo noi, ma ci pare che questo governo tradisca ogni giorno di più una sudditanza psicologica, patologica verso una opposizione che piaccia o no continua a fare quello che vuole, che si permette gli attacchi più scorretti non sul piano politico, come è legittimo e anche doveroso, viceversa su quello umano, culturale, in modi irridenti: Benigni va a fare propaganda piddina contro il governo e il governo, la si metta come si vuole, gli dà un milione secco; un mese prima va a Sanremo a fare la stessa cosa, e nessuno sa dietro quale ulteriore compenso che comunque non sarà stato lieve; un redditiero in fregola da federale si alza dall’amaca, si inventa una adunata, un sabato eurofascista: sciamano in trentamila che corrispondono grossomodo ai lettori residui di Repubblica, e si scopre che a coprire le spese, trecentomila euro, sono stati i romani tutti, per il tramite del Comune che fa finta di niente; non pago, il Comune e i suoi sparafucile provocano, prendono in giro, ostentano la prepotenza degli impuni. Il cittadino che di sinistra non è osserva e sgomento si chiede: tutto qui il governo che doveva cambiare l’andazzo? Che doveva mettere a posto la vecchia spocchia comunista? Ma forse si contentano di abolire, nominalmente, gli asterischi, le vocali rovesciate.
Da ultimo arriva un boiardo senile che, a corto di risposte, maltratta una inviata che ha osato chiedergli conto dei deliri di un Manifesto Stalinista suo coevo per il quale il Pd sta dando i numeri. Con una arroganza che in dieci secondi fa piazza pulita di anni di cialtronaggini femministe, di codici rossi, di scarpette rosse, di Non una di meno, di tolleranza verbosa, di inclusione parolaia. Prodi non aveva argomenti e non aveva ragioni: gli è rimasta una cafonaggine misera, che neppure gli scherzi dell’età possono scusare.
Max Del Papa, 22 marzo 2025
“Mi ha tirato i capelli”
“Il Presidente Prodi, oltre a rispondere alla mia domanda con tono aggressivo e intimidatorio, ha preso una ciocca dei miei capelli e l’ha tirata. Ho sentito la sua mano fra i miei capelli, per me è stato scioccante. Lavoro per Mediaset da 10 anni, inviata all’estero su vari fronti e non ho mai vissuto una situazione del genere. Mi sono sentita offesa come giornalista e come donna”, ha fatto sapere la giornalista. Prodi ha replicato: “Non ho strattonato o tirato i capelli alla giornalista di Quarta Repubblica, Lavinia Orefici, ma come tutti i giornalisti e le persone presenti possono testimoniare ho appoggiato una mano sulla sua spalla perché stava dicendo cose assurde“. Immediata la controreplica: “Mi dispiace che il presidente non si sia semplicemente scusato per il gesto che vedremo lunedì nel filmato. Le cose più gravi sono le inaccettabili parole, inappropriate e paternalistiche contro un giornalista che pacatamente ha chiesto un commento su ciò che ha detto la premier Giorgia Meloni in aula”.
Rete4 ha fatto sapere che quelli di Prodi “è stato il gesto di un attimo che ha lasciato scioccata e senza parole la giornalista. In decenni di lavoro, mai ci saremmo aspettati un gesto simile nei confronti di una collega da un ex Presidente del Consiglio”. Nicola Porro invece ha detto: “Alle domande si può rispondere anche con risposte molto dure. Però se posso permettermi quello che è successo non è un battibecco, come faremo vedere lunedì Romano Prodi ha messo le mani addosso a una giornalista. Le prende la ciocca dei capelli davanti ai colleghi, per caritò non va in ospedale per un gesto di questo tipo. Lavinia era choccata ma non per la forza contundente ma perché mettere le mani addosso a una giornalista o a un giornalista non si è mai visto”.
“Non è che si è buttata… È un gesto incredibile. La cosa che mi sconvolge è che c’erano altri giornalisti, operatori, ma io mi trovo un vice direttore de La Repubblica che riesce a dire ‘La lezione di Romano Prodi ai poveri sicari del giornalismo di regimei“, prosegue il giornalista. “Siccome sono una persona piuttosto nervosetta e qualche volta delle intemperanze ci sono. Se uno si scusa finisce lì la cosa. Non c’è nessuno ricoverato ma le scuse sarebbero il minimo, capita a tutti di essere nervoso”.
La reazione della politica
“Prodi sgarbato con una giornalista, ma Pd e principali media lo trattano da eroe e rilanciano i suoi toni da bullo. Insomma, Prodi dà una risposta in meno ma viene pubblicizzato come se facesse un’intervista in più”, ha detto il Carroccio in una nota. “Ormai la sinistra fa la guerra perfino alle domande”.
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