Scuola

Prof precari, l’ipocrisia dei sindacati contro Valditara

Roma è stata deferita alla Corte di Giustizia europea, ma le pratiche contrattuali discriminatorie risalgono a diverso tempo fa

valditara © zhu yi, urbazon e okfoto tramite Canva.com

Ingiusto e fazioso imputare a Giuseppe Valditara le responsabilità del deferimento dell’Italia alla Corte di Giustizia europea per non aver posto fine all’uso abusivo dei contratti a tempo determinato e a condizioni di lavoro discriminatorie per i lavoratori del comparto scuola. Intendiamoci: con ciò non si vuole negare il problema, che, al contrario, esiste ed è anche parecchio serio.

Per troppo tempo, infatti, l’Italia non è riuscita nell’intento di porre un freno all’abuso di contratti a termine nella scuola, tanto che, in molti casi, il periodo di precarietà dei docenti va ben oltre i trentasei mesi previsti dalla giurisprudenza. Basti pensare che oggi il Ministero dell’Istruzione calcola la presenza di circa 160 mila insegnanti precari, a fronte dei 250 mila calcolati dai sindacati. In ogni caso troppi.

Di più: in Italia la legislazione sullo stipendio degli insegnanti a tempo determinato nelle scuole pubbliche non prevede una progressione salariale basata sui precedenti periodi di servizio. Il che, comporta l’insorgere di una pratica discriminatoria per la mancata equiparazione dei docenti a scadenza con quelli assunti a tempo indeterminato. In sostanza, ciò che la Commissione Ue contesta all’Italia è di non prevedere aumenti stipendiali legati agli scatti d’anzianità anche per gli insegnanti precari (almeno fino alla loro stabilizzazione e alla successiva ricostruzione di carriera).

A ciò si aggiunge inoltre l’annosa questione dell’inadeguatezza degli stipendi degli insegnanti italiani (sebbene ciò non rappresenti motivo di deferimento da parte delle istituzioni europee). Il rapporto ‘Education at a Glance 2024’, che mette a confronto lo stato di salute dell’istruzione in tutto il mondo, pone l’Italia in fondo alla classifica Ocse per gli stipendi dei docenti e fotografa la scuola italiana come quella meno finanziata. Secondo il report in questione, i governi del Belpaese investono solo il 4% del Pil nel comparto istruzione, contro il 4,9% dei Paesi a sviluppo industriale avanzato.

Insomma, molte sono le criticità e i nodo irrisolti che attanagliano oggigiorno la scuola italiana.
Ragion per cui, fa bene la Commissione europea a giudicare insufficienti gli sforzi profusi finora dalle autorità competenti e a chiedere l’adozione di misure efficaci per impedire gli abusi nei contratti di lavoro dei docenti. Male, anzi malissimo, fanno invece opposizioni e sindacati a politicizzare la questione e puntare ipocritamente il dito contro Valditara e l’esecutivo di centrodestra.

La prima procedura d’infrazione Ue ai danni dell’Italia per gli abusi nei contratti del personale della scuola risale infatti al lontano 2010. Nel frattempo, sono trascorsi quattordici lunghi anni e si sono avvicendati ben otto governi di segno diverso con la partecipazione alle funzioni esecutive di tutte le forze dell’attuale panorama politico, senza che nessuno sia stato capace di porre fine all’uso abusivo dei contratti a tempo determinato e di contrastare efficacemente la piaga del precariato. Ciò detto e chiarito, e con tutte le legittime attenuanti del caso, a Giuseppe Valditara spetta ora il gravoso onere di limitare tale pratica contrattuale discriminatoria e provvedere a un contestuale adeguamento delle retribuzioni dei docenti.

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La sfida è aperta. In ballo non c’è soltanto la dignità lavorativa del personale scolastico, la qualità dell’insegnamento o il pagamento di sanzioni milionarie giornaliere in caso di condanna da parte della Corte di Giustizia europea. In gioco c’è il futuro del Paese.

Salvatore Di Bartolo, 9 ottobre 2024

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