Per una volta l’Italia in prima linea, il nostro paese promotore di un festival unico in Occidente: così viene presentato l’evento del 17-18-19 giugno a Milano, facendo crescere l’aspettativa nelle persone. Ma di cosa si tratta realmente questo fantomatico slancio rivoluzionario? Il festival del ciclo mestruale. Esatto: l’osannato progressismo delle associazioni organizzatrici, Errante e Promise e Studio But Maybe – sullo spunto del podcast Eva in Rosso – altro non si tratta di mettere in piazza la fisiologica natura del corpo femminile.
Al grido della “normalizzazione”, parola d’ordine degli ultimi tempi si rischia di cadere – e questo sembrerebbe l’esempio – nella manifestazione del trash più imbarazzante.
“Il primo festival del ciclo mestruale è l’occasione in cui far dialogare diverse persone che si occupano di divulgazione mestruale”: apprendiamo così l’esistenza di un nuovo mestiere – che di questi tempi potrebbe anche essere una buona notizia – : il “divulgatore mestruale”. Non capendo bene di cosa si occupi questa figura professionale immaginiamo che siano tutti coloro che, emancipati e controcorrente, si lanciano senza paura nelle grinfie delle bacchettone e tradizionaliste che preferiscono tenere la propria intimità tra le porte della propria casa. Perché, evidentemente, l’andamento è quello: o racconti al mondo le tue abitudini più intime o sei retrogrado.
Due tra i temi principali del festival saranno l’immancabile disparità di genere e la relazione al conflitto ucraino. Sul primo facciamo sinceramente fatica a capire cosa diavolo c’entri la disparità di genere sull’avvento delle mestruazioni, come possa un fenomeno propriamente femminile – e su questo nessuno ha dubbi, ci auguriamo – motivo di disparità e, di conseguenza, discriminazione. Sul conflitto ucraino la discussione sembrerebbe sfiorare il ridicolo ponendo al centro dell’attenzione la mancanza di assorbenti per le donne che, purtroppo, si trovano in una situazione tremenda a causa della guerra. Comprensibilissimo il disagio delle ucraine ma arrivare a chiedere donazioni, cosa che le associazioni hanno fatto mediante un crowfunding per sostenere le spese del festival, e devolverle in parte per l’acquisto di assorbenti durante una guerra appare un tantino apologetico. Insomma, ben vengano gli aiuti e il volontariato ma che non siano strumentali a fini di finto perbenismo: sulle terre ucraine stanno morendo centinaia di persone giornalmente, le famiglie non hanno i viveri, i bambini non hanno acqua e cibo. Che le paladine delle “rosse” non abbiano, forse, fatto caso a questi piccoli particolari?
Tornando al festival, un calendario ricco di eventi tra talk, performance e concerti. Tra quelli degni di nota sicuramente “Sanguinare: la guerra delle mestruazioni”, un talk in cui – come riporta il sito dell’evento – verrà affrontato il tema del ciclo come una guerra che si gioca sul corpo di donne, bambine e di tutte le persone che mestruano, specialmente quando hanno corpi non bianchi o non conformi. Cioè? Quale dannata guerra affrontano le donne ogni mese? Inevitabile buttare nel calderone anche la differenza tra corpi bianchi e no, altrimenti il rischio di non essere esageratamente politically correct era troppo alto.
Sulla stessa linea non poteva mancare l’attivismo sociale: “Zitte e buone? No!”, così si intitola un altro incontro promosso dal festival in cui verrà affrontato il tema del dolore come veicolo di attivismo sociale. Una brutta copia del “Io sono mia” delle nostre nonne che, a prescindere dalle ideologie e dai pareri, è innegabile che quelle donne lottavano davvero per affermare la libertà del proprio corpo tralasciando forma, posa, egocentrismo e manie figlie dei nostri anni.
A far scoppiare l’ego delle nuove figlie dei fiori con borse di Hermes la performance al titolo: “Anche gli uomini sgocciolano”. Tralasciamo la poca eleganza delle parole scelte del regista, oggettivamente volgari, anche se dicendo questo rischiamo, anzi sicuramente, saremo tacciati come insensibili e probabilmente omofobi. Lo spettacolo dovrebbe rappresentare, comunque, la storia di come ha vissuto il menarca, l’adolescenza e la vita adulta un ragazzo trans con le mestruazioni.
Non cadendo, anzi scadendo, nei luoghi comuni e con tutto il rispetto delle emozioni, difficoltà, paure e problematiche legate all’argomento che tutti possiamo vivere: dove risiede l’utilità di sbandierare le vite private, le faccende intime e le proprie personali esperienze? Perché se la libertà è ciò che di più bello che abbiamo, la deriva di condividere a tutti i costi ciò che siamo, vorremmo essere o diventeremo rischia di ridurci ai burattini di chi inscena telenovelas per il piacere di essere al centro dell’attenzione. Ma, c’è di più: l’importanza di questi temi dovrebbero essere trattati da specialisti. L’attivismo è una cosa, la professionalità un’altra.
Bianca Leonardi, 30 maggio 2022