Psicodramma grillino sulla giustizia

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conte giustizia

La mezza riforma varata dal ministro Cartabia non servirà, probabilmente, a risolvere gli annosi problemi della giustizia italiana. Ma un risultato l’ha raggiunto: affondare un nuovo colpo sul corpo cadaverico del grillismo, diviso tra governisti, movimentisti, contiani, grillini, dimaiani e chi più ne ha più ne metta.

Uno psicodramma. Che in queste ore si sta consumando tra veleni e invettive lanciate a mezzo stampa, loro che i giornalisti volevano mangiarseli a colazione. Che la mediazione trovata in Consiglio dei ministri (stop ai processi se durano più di due anni in appello e uno in Cassazione) fosse difficilmente digeribile dal Movimento lo sapevano pure i ministri pentastellati. Ma la reazione che s’è scatenata è apparsa forse più marcata di quanto atteso. La base è infuriata, Travaglio pure: ritengono l’accordo raggiunto dal governo Draghi una sorta di resa. Di Battista parla di un partito che s’è “calato le braghe”. E anche i gruppi parlamentari sono in subbuglio. A gettare benzina sul fuoco, poi, ci ha pensato proprio l’ex premier, che in un video ha lanciato il suo grido di battaglia: “Non canterei vittoria – ha detto – oggi non sono sorridente sull’aspetto della prescrizione, siamo ritornati a un’anomalia italiana”.

Dalla parte dell’avvocato del popolo c’è ovviamente dj Fofo, in arte Alfonso Bonafede, secondo cui in nome della partecipazione al Draghi I il M5S avrebbe “annacquato una battaglia durata dieci anni”. In realtà i processi stavolta c’entrano poco. La lite, infatti, si mescola con la battaglia sulla leadership giocata da Giuseppe Conte (e i suoi sodali) contro Beppe Grillo e Luigi Di Maio. Ricordate la guerriglia dei giorni scorsi? Pare che Draghi per superare lo stallo e ottenere l’unanimità dei ministri sul testo abbia alzato la cornetta e chiamato Grillo, evidenziando così nei fatti la mancata leadership di Conte nel M5S. Ennesimo “sgarbo” verso il predecessore dopo il siluramento di Arcuri, l’addio a Vecchione, il cambio del Cts, la chiusura del Cashback e via dicendo. L’ex premier non apprezza la riforma? Poco importa, per ora: Draghi non commenta perché tecnicamente Conte ad oggi rappresenta poco più di se stesso.

Almeno finché la pantomima grillina non cadrà, se mai succederà, nella scissione tanto attesa. Da una parte i contiani capitanati da Vito Crimi; dall’altra chi non intende tagliare il cordone ombelicale col garante. I primi ora minacciano lo strappo, i secondi blindano il governo. In mezzo centinaia di parlamentari che temono di non essere ricandidati al prossimo giro. Pare che Conte abbia cercato di utilizzare il nodo giustizia per far cadere l’esecutivo e farsi un partito tutto suo. Se c’ha mai pensato davvero, per ora il blitz è andato a vuoto. Potrebbe provarci di nuovo, magari durante il semestre bianco, per formare gruppi a sé fedeli e sparigliare le carte anche sull’elezione del nuovo capo dello Stato. Si vedrà. Quel che è certo è che il primo partito italiano, teoricamente azionista di maggioranza dell’esecutivo, naviga in pessime acque. Chissà se ha ragione Renzi quando dice che “il M5S è finito, è morto”. Anche se ancora nessuno glielo ha detto.

Giuseppe De Lorenzo, 10 luglio 2021

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