Ormai il termine ‘fascismo’ viene usato in tutto il mondo come sinonimo di intolleranza, violenza (anche solo verbale), demonizzazione dell’avversario. Anche nei paesi più lontani dall’Europa può capitare di ascoltare Bella ciao cantata da giovani che del fascismo storico non sanno nulla. Sulle prime noi storici del fascismo (o della sua ideologia, com’è il mio caso) rimanevamo sconcertati: che c’azzeccava il duce con Francisco Franco, con Augusto Pinochet o con Jair Bolzonaro? Il comunismo maoista, stando a Federico Rampini, ha fatto più vittime di Hitler e di Stalin messi assieme ma oggi nessuno – e tanto meno nel Terzo Mondo – adopererebbe il termine ‘comunista’ come un insulto. Forse, nella stessa Ucraina gli eserciti russi di occupazione non vengono apostrofati, nei cortei pacifici di protesta delle città semirase al suolo, come ‘comunisti’ ma come ‘fascisti’.
Sono molte le ragioni storiche, politiche e culturali che spiegano questo doppiopesismo, specie in Italia dove si può credere a chi afferma di ‘non essere più comunista’ ma non a chi dice di ‘non essere più fascista’, essendo il fascismo un marchio quasi indelebile da cui ci si libera solo con abiure plateali e l’immersione nel fonte battesimale dell’Anpi. Al fondo del ‘doppiopesismo’ c’è sempre l’idea che il totalitarismo di destra è l’arsenico, il male assoluto mentre quello di sinistra è il bene ‘degenerato’, un vino diventato aceto. E va bene, rassegniamoci pure ma a patto di esigere la coerenza più assoluta nell’impiego del termine assurto a simbolo di tutte le piaghe che hanno afflitto nella storia la nostra povera umanità sofferente,.
Se fascismo è “intolleranza, violenza (anche solo verbale), demonizzazione dell’avversario”, perché non chiamare ‘fascisti’ i documenti dell’Anpi che vogliono tenere ‘ever green’ la guerra civile in Italia? O certi presidenti americani per i quali le 500 mila vittime della guerra irachena—come le città rase al suolo—appartengono alla categoria dei ‘danni collaterali’? In base all’uso corretto del termine fascista, Putin e il suo ineffabile ideologo Aleksandr Gel’evic Dugin (grottesca caricatura degli slavofili Dostoevskij e di Solgenitsin) sono sicuramente fascisti ma lo sono anche quanti, pur senza ‘amare la bomba’(come l’indimenticabile Dottor Stranamore), non esisterebbero a scatenare la terza guerra mondiale pur di non venire ‘a patti col diavolo’. Se fosse dipeso da loro, il fascista Bismarck, con la sua annessione al Secondo Reich dell’Alsazia-Lorena – in base alla legge del più forte e alla vittoria di Sedan – avrebbe dovuto scatenare una guerra europea, anticipando di quarant’anni quella mondiale.
E quanto ai conflitti planetari e alle loro conseguenze, non furono fasciste le truppe dell’Armata Rossa che nei paesi liberati dal nazismo seminarono il terrore, con le loro devastazioni, le loro uccisioni indiscriminate, le loro vendette barbariche. Una vicenda documentata non da libri editi da AR ma da saggi storici ponderosi pubblicati dal Mulino. Certo aprirono i cancelli di Auschwitz e degli altri campi di sterminio costruiti dalle ‘fascistissime SS” ma per le ungheresi, le austriache, le tedesche, violentate e stuprate, non furono indistinguibili dalle belve di Himmler.
E allora fascisti tutti? Why not? Accordarci sulla definizione stipulativa del fascismo – lo ripeto, farne il sinonimo di intolleranza, violenza (anche solo verbale), demonizzazione dell’avversario – significa sottrarre la parola alla strumentalizzazione ideologica. Con la (pia) speranza di eliminarla progressivamente dal discorso politico – che gusto c’è più a definire l’altro fascista se quest’ultimo ci ricambia con lo stesso epiteto? – e di rendere possibile il dialogo tra opinioni, interessi, valori diversi. Il dialogo, infatti, è precluso se un interlocutore viene bollato come fascista.
Dall’Anpi al Pd passando per “Il Foglio” (versione Cerasa) è questa la rendita di posizione più ambita nel nostro paese, quella che permette di vincere senza doversi confrontare con le ragioni degli avversari politici, degradati a nemici ideologici.
Dino Cofrancesco, 29 marzo 2022